Il Tribunale di Bologna ha dato il via libera all’impianto di embrioni congelati 19 anni fa, nonostante il marito della donna che li riceverà sia deceduto nel 2011. “E’ sicuramente una notizia importante che tutela il diritto della donna ad accedere alla tecnica di PMA”. E’ il commento di Filomena Gallo, dell’associazione Luca Coscioni, secondo cui la decisione del tribunale contribuisce a fare chiarezza su quanto già stabilito dalla legge 40 e dalle linee guida e cioè che gli embrioni crioconservati sono sempre della coppia fino al momento in cui la coppia può decidere di abbandonarli in virtù del DM del 4 agosto 2004 e che la donna può chiedere sempre il trasferimento in utero degli embrioni.
Quando la coppia 19 anni fa ha avuto accesso alla tecnica, quindi prima dell’emanazione della legge 40/2004, erano entrambi viventi e entrambi nel 2010 hanno espresso volontà di voler mantenere gli embrioni per un trasferimento in utero. Il centro di PMA dell’Ospedale S. Orsola di Bologna, alla richiesta di esecuzione della tecnica di fecondazione con trasferimento in utero, avrebbe dovuto dare subito il via libera all’impianto: la signora avrebbe potuto tentare la gravidanza già nel 2013, invece ha dovuto attendere le decisioni dei Tribunali arrivando quindi nel 2015. “Ci auguriamo – spiega Gallo – che questo ritardo non crei ostacoli per portare a termine la gravidanza. Come ricordano i giudici della Corte costituzionale la fecondazione medicalmente assistita serve a favorire la vita”.
Tuttavia quello di Bologna non è il primo caso. Nel 1999 il giudice Giovanni D’Antoni del Tribunale di Palermo emise un provvedimento d’urgenza con cui la prima sezione civile del tribunale di Palermo autorizzava il Centro di Fecondazione medicalmente assistita di Ettore Cittadini a impiantare gli embrioni nell’utero di una donna rimasta vedova a seguito di un infarto al marito. Entrambi i coniugi avevano fatto un primo ciclo di PMA ma era fallito; tuttavia erano rimasti 3 embrioni crioconservati che la donna decise di impiantare dopo la morte del marito. Entrambi i casi evidenziano che la legge 40 ancora crea problemi per i divieti che sono da interpretare: non si tratta di fecondazione post mortem perché già vi erano embrioni crioconservati, quindi non vi erano ostacoli normativi a procedere.
“Come prima della legge 40 – conclude Filomena Gallo – le decisioni dei Tribunali hanno prodotto giurisprudenza a tutela dei diritti delle persone, a differenza del Parlamento che non solo ha legiferato nel 2004 con la legge 40 che ha introdotto divieti senza fondamento né giuridico né scientifico, ma che oggi si rifiuta di cancellare gli ultimi divieti nonostante i continui interventi dei tribunali, della Corte Costituzionale, e delle Corte internazionali che sottolineano il carattere discriminatorio e antiscientifico della legge 40”.