Organizzazioni senza scopo di lucro collegate a personaggi in odor di ‘ndrangheta e protagoniste di una colossale truffa sulla gestione dell’emergenza migranti. E in grado, grazie ai 35 euro ricevuti dallo Stato per ciascuna persona ospitata ogni giorno, di accumulare dal 2014 al 2018 un patrimonio illecito di oltre 7 milioni di euro. Soldi pubblici destinati ad attività di accoglienza e invece finiti nelle tasche di un manipolo di speculatori senza scrupoli. Ruota attorno a questo impianto accusatorio l’operazione “Fake Onlus” della Guardia di Finanza di Lodi che ha portato a 11 arresti (uno in carcere, 5 ai domiciliari e 5 con obbligo di dimora e di firma alla polizia giudiziaria) per associazione a delinquere e truffa aggravata ai danni dello Stato.
Nel mirino del pm di Milano, Gialunca Prisco, titolare del fasciolo di indagine coordinato dal procuratore aggiunto Ilda Boccassini, sono finite quattro coop: “Area solidale”, “Milano solidale”, “Gli amici di Madre Teresa” e “Volontari senza frontiere”. Onlus, sostiene l’accusa, costituite ad hoc per partecipare alle gare pubbliche lanciate dalle Prefetture di Lodi, Parma e Pavia e aggiudicarsi così il maggior numero possibile di appalti. L’unico obiettivo, evidenzia il gip Carlo Ottone De Marchi nell’ordinanza di custodia cautelare, era “lucrare sulla situazione di emergenza” e “fare così ingresso in maniera illecita nel canale della distribuzione delle risorse pubbliche istituite per l’accoglienza dei migranti”.
Le onlus sotto accusa erano intestate a prestanome, ma in realtà sarebbero tutte riconducibili agli 11 arrestati che, alla luce di alcuni precedenti penali, non avevano i requisiti per ricoprire incarichi societari. Ma che, grazie anche mirati interscambi di cariche amministrative, sarebbero riuscite ad aggiudicarsi i bandi delle Prefetture attraverso una serie di documenti falsi che attestavano l’erogazione di alcuni servizi (viste sanitarie, colloqui con psicologi, incontri con assistenti sociali, percorsi di mediazione culturale) in realtà insistenti. Tra le altre imputazioni contestate agli arrestati c’è infatti anche quella di “aver falsamente indicato di offrire servizi di integrazione a favore degli immigrati, indicando quali consulenti presenti in struttura per 4 ore settimanali psicologi, criminologi e avvocati che non risultano aver mai prestato attività lavorativa”. Un sistema truffaldino che avrebbe permesso all’organizzazione di presentare le offerte economicamente più convenienti e sbaragliare così la concorrenza.
L’inchiesta milanese ha anche portato alla luce legami tra gli amministratori delle coop sotto accusa e almeno tre affiliati alla ‘ndrangheta. Tra questi spicca il boss Santo Pasquale Morabito, residente a Milano ma originario di Africo, nel Reggino, e legato al padrino Giuseppe Morabito “u Tiradrittu”: tra l’aprile 2014 e l’ottobre 2018 figurava come impiegato par time della coop “Amici di madre Teresa Giuliani”, incassando uno stipendio complessivo di oltre 51 mila euro per un’attività lavorativa in realtà mai svolta. Un’assunzione fittizia e basata su documenti falsi che, secondo l’accusa, ha permesso a lui e ad altri due pluripregiudicati per ‘ndrangheta, Salvaore Muia e Salvatore Camerino, di ottenere la misura alternativa al carcere: beneficio che, senza un contratto di lavoro per attività socialmente utili, non sarebbe mai stato concesso dalla magistratura di Sorveglianza.
Il personaggio chiave dell’inchiesta è Daniela Giaconi, ritenuta dagli inquirenti “promotore” dell’organizzazione nonchè “amministratrice di fatto” delle quattro coop coinvolte, incarico che non avrebbe potuto ricoprire alla luce dei suoi “numerosi precedenti” penali, tra cui una condanna in via definitiva a 3 anni e 6 mesi per bancarotta fraudolenta. E’ accusata anche di autoriciclaggio perchè avrebbe utilizzato “denaro proveniente da delitto” per l’acquisto di due immobili a Milano: appartamento nel quartiere di Bruzzano e un negozio in Viale Abruzzi, ora sotto sequestro.