Trump-Biden a sfida finale Usa 2020, Stati in bilico e “miraggi”

Trump-Biden a sfida finale Usa 2020, Stati in bilico e “miraggi”
Joe Biden e Donald Trump
2 novembre 2020

È possibile che mercoledì mattina ci sveglieremo senza conoscere il nome del prossimo presidente degli Stati Uniti. Un’eventualità che deriva da un dato senza precedenti: 93 milioni di persone hanno già votato anticipatamente, approfittando del voto anticipato di persona e soprattutto del voto per posta, scelto da 57,6 milioni di elettori (dato record) per evitare le code ai seggi e possibili contagi da coronavirus. Considerando che nel 2016 gli elettori furono 138,9 milioni, i dati quasi certi sono due: la partecipazione al voto sarà molto più alta rispetto alle precedenti presidenziali, e per la prima volta ci saranno più voti espressi in anticipo che durante l’Election Day. In Texas, hanno già votato più persone di quante lo abbiano fatto quattro anni fa. Questo significa che, con milioni di schede ancora da conteggiare e Stati in bilico, cominceranno polemiche, contestazioni legali, forse – è lo scenario peggiore a cui si stanno preparando anche gli investitori a Wall Street – disordini e violenze di piazza, a causa della delegittimazione del voto per posta portata avanti in queste settimane dal presidente Donald Trump e dei “miraggi” (come li ha definiti l’esperto Dave Wasserman del Cook Political Report) che potrebbero verificarsi con l’iniziale conteggio delle schede.

Le contestazioni (repubblicane) potrebbero nascere dal fatto che Trump potrebbe andare molto meglio martedì sera che nel risultato finale, perché a preferire l’early vote – che in molti Stati sarà registrato dopo i voti del 3 novembre, ma in altri prima: ecco il perché dei “miraggi” – sono storicamente i democratici. E nel conteggio finale, in diversi Stati, rientreranno le schede arrivate anche parecchi giorni dopo l’Election Day. Il timore di molti è che, se andrà come i sondaggi prevedono, Trump non uscirà di scena complimentandosi con il rivale democratico, Joe Biden. Le prossime settimane potrebbero far impallidire il ricordo delle contestazioni sul voto in Florida alle elezioni del 2000, decisivo per la vittoria del repubblicano George W. Bush contro il democratico Al Gore. Piccola digressione. Bisogna ricordare che si tratta di un’elezione indiretta: il capo di Stato è scelto da 538 ‘grandi elettori’, frutto del voto popolare. In ognuno dei 50 Stati si vota per eleggere un numero di grandi elettori pari al numero di deputati (435, assegnati agli Stati in base alla popolazione) e senatori (100, due per ogni Stato) che lo rappresentano in Congresso (più tre per il District of Columbia).

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Il candidato che vince – anche di un solo voto – in uno Stato guadagna tutti i grandi elettori in palio (tranne in Maine e Nebraska, dove vige un sistema misto). Ogni grande elettore è tenuto – ma non obbligato, perché la Costituzione tutela il diritto alla libertà di espressione – a seguire la volontà espressa dai cittadini del suo Stato. Per diventare presidente, servono 270 voti. È dal 1964 che ci sono 538 grandi elettori; ogni dieci anni, il censimento cambia il “peso” degli Stati: alla fine dell’anno, si conoscerà la nuova distribuzione dei seggi per il prossimo decennio, che dovrebbe riconoscere tre seggi in più al Texas e due alla Florida, per esempio. Per questo, i sondaggi e il risultato a livello nazionale hanno poca importanza: nel 2016, Hillary Clinton prese quasi 3 milioni di voti in più di Trump, ma gli Stati Uniti non hanno ancora eletto una donna alla Casa Bianca.

Non tutti gli Stati saranno importanti allo stesso modo. Ci sono quelli che sicuramente andranno a Trump e quelli dove i voti finiranno soprattutto a Biden: sono gli Stati per antonomasia repubblicani o democratici (safe States). La lista annovera, per esempio, la California e New York tra gli Stati blu (Dem), Alabama e Utah tra quelli rossi (Rep). Per capire in che direzione andranno le elezioni, sarà sufficiente tenere d’occhio una decina di Stati, quelli in bilico (swing States): tra questi, ci sono Stati storicamente ‘indecisi’, come Florida e Pennsylvania, e altri che lo sono diventati anche a causa di cambiamenti demografici. Le mappe degli esperti ci dicono sicuramente una cosa: la strada verso la vittoria è più stretta per Trump. Attenzione, però: il voto per il presidente potrebbe essere stato sottovalutato dai sondaggi (i suoi elettori tendono a non fidarsi di chi li interpella per sapere per chi votano).

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Un dato è sufficiente per capire come anche la fortuna sia fondamentale per vincere, anche se non viene mai discussa dagli esperti: basti pensare che, su 138,9 milioni, quelli decisivi nel 2016 furono 77.744 (lo 0,055%), ovvero quelli che consentirono a Trump di vincere in Michigan (10.704 voti), Wisconsin (22.748) e Pennsylvania (44.292). Se Clinton avesse vinto in questi tre Stati sarebbe diventata presidente, e avrebbe vinto, se fosse riuscita a convincere i pochi elettori dei Verdi a non disperdere il loro voto. Il puzzle si comporrà man mano che la notte lascerà spazio alle luci dell’alba, ma per alcuni Stati potrebbero essere necessari giorni, se non settimane, per avere i risultati finali. Secondo le tabelle del Cook Political Report e del New York Times, Biden parte da una base di 212 grandi elettori, contro i 125 per Trump. Inoltre, a Biden se ne possono aggiungere quasi certamente altri 21. Rimangono quelli di dieci Stati: Arizona (11), Florida (29), Georgia (16), Iowa (6), Michigan (16), North Carolina (15), Ohio (18), Pennsylvania (20), Wisconsin (10) e, sorpresa delle ultime settimane, il Texas (38), che vota repubblicano dal 1980.

Questo significa che a Biden basterebbe vincere in Michigan, Wisconsin e Pennsylvania, che hanno votato per Bill Clinton, Al Gore, John Kerry e Barack Obama prima di passare ai repubblicani quattro anni fa, e dove il candidato democratico ha un vantaggio nei sondaggi tra i 4 e i 6 punti, per diventare presidente; oppure gli basterebbe vincere in Florida, dove la situazione è davvero incerta, e in Wisconsin. Per Trump, invece, le combinazioni vincenti sono poche: se perdesse in Pennsylvania, si ridurrebbero quasi a zero. Biden potrebbe stravincere, è vero, facendo meglio di Obama (365 seggi conquistati nel 2008 contro John McCain), ma potrebbe anche perdere: può sembrare ovvio e al tempo stesso impossibile, ma questi sono gli Stati Uniti d’America. Nota a margine: l’Election Day servirà anche a rinnovare interamente la Camera (che dovrebbe restare a maggioranza democratica) e un terzo del Senato (risultato in bilico, i repubblicani sono attualmente in maggioranza); in palio ci sono anche migliaia di cariche statali e locali, a partire da quella di governatore in 11 Stati.

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