di Giuseppe Novelli
La campagna elettorale per le presidenziali americane è stata finora una delle più atipiche che gli Stati Uniti abbiano mai vissuto. Buona parte del merito è di Donald Trump, che dello stereotipo del politico ha poco o niente e ha impregnato il dibattito col suo stile diretto e il suo linguaggio che è quanto di più lontano dal “politicamente corretto” si potesse vedere nella corsa alla Casa Bianca. Da un lato è stata proprio quest’esuberanza e questo suo carattere, così lontano dall’essere istituzionale, a fargli ottenere i consensi (e i voti) di tutta quella fascia di popolazione stanca di una politica americana incapace negli ultimi anni di tutelare la middle class. Dall’altro lato però, in una corsa così lunga ed estenuante, la mancanza di una strategia precisa da seguire e l’impressione che ogni suo discorso pubblico fosse improvvisato lo hanno portato a eccessi che nelle ultime settimane gli hanno fatto perdere parecchi consensi. Per questo il magnate ha deciso di cambiare strategia, a partire dalla forma: Trump cerca ora di attenersi molto di più ai testi scritti, riformulando il suo messaggio politico in modo più chiaro e strutturato. L’impressione è che il tycoon newyorchese stia rivedendo anche la sostanza del suo programma. L’esempio più palese riguarda l’immigrazione. Durante le primarie questo è stato uno dei temi cardine su cui il candidato repubblicano si è spesso focalizzato nei suoi comizi, promettendo alla platea e agli americani di rimpatriare 11 milioni di immigrati irregolari presenti negli Stati Uniti.
Un mese dopo aver ottenuto il ticket del Gop questo messaggio è stato però fortemente ridimensionato, passando dalla costruzione del famoso “muro” con cui dividere gli Stati Uniti dal Messico alla semplice applicazione delle leggi già in vigore, con il permesso di soggiorno concesso a chi vive in America da anni, paga le tasse e non ha precedenti penali. Più che aggiustare il tiro si tratta di un vero e proprio cambio di rotta. Sembra quindi che Trump abbia compreso che nelle prossime settimane le sue fortune politiche possano dipendere dalla sua capacita di mostrare moderazione. Il cambio ai vertici della campagna è stato in tal senso tempestivo ed è arrivato proprio nel momento di maggior distacco tra il candidato repubblicano e la sua rivale Hillary Clinton (10 giorni dopo le convention il gap si attestava intorno ai 7-8 punti percentuali in favore della democratica nei sondaggi nazionali). Sembra infatti che i nuovi membri dello staff del magnate siano stati in grado di fargli capire che anche gli attacchi alla Clinton dovevano essere più precisi e supportati da forti argomentazioni. “Sto cercando di concentrarmi molto di più sul messaggio politico adesso, anche perché mi sembra che vada meglio con gli elettori quando mi concentro su quello così come vado meglio nei sondaggi”, ha detto Trump al Nyt in un’intervista telefonica. Per il momento Trump è concentrato su questa strategia ma considerando il temperamento mostrato nei mesi passati e il suo carattere impulsivo, l’allerta è sempre alta. Un pericolo in tal senso è rappresentato dai suoi avversari o dai suoi critici: “Se le persone mi colpiscono state sicuri che io risponderò colpendo loro. Questo non cambierà mai”, ha detto Trump. Perché il lupo perde il pelo ma non il vizio.
Intanto sul fronte avversario i sondaggi premiano Hillary Clinton. Più della metà dei cittadini americani pensano di votare per l’ex first lady alle prossime elezioni di novembre. Si tratta della prima volta che la candidata democratica ha superato questa soglia secondo un ultimo sondaggio condotto dalla Quinnipiac University. Clinton arriva a toccare il 51% dei consensi contro il 41% del suo avversario, il repubblicano Donald Trump. Se all’interno delle scelte viene inserito anche il candidato del partito libertario, Gary Johnson, e quello dei verdi, Jill Stein, le preferenze per la politica democratica scendono al 45%, contro il 38% di Trump. Johnson riesce a raggiungere il 10% mentre Stein si ferma al 4%. La cattiva performance di Trump è legata alla serie di gaffe messe in fila nelle ultime settimane: dopo aver raccolto un grande numero di voti con uscite imbarazzanti e al limite della correttezza adesso i cittadini americani si interrogano sulle sue reali capacità di guida del Paese. A tenere a freno Clinton invece continua a essere lo scandalo delle mail che nei prossimi mesi potrebbe rallentare ancora una volta la sua corsa verso la presidenza. E ancora a preoccupare ci sono i rapporti poco chiari tra la politica e la sua fondazione quando è stata segretario di Stato.