Era volato a Washington per assicurarsi che il summit storico tra il presidente americano e quello nordcoreano si verificasse come previsto il 12 giugno prossimo a Singapore. E invece il presidente sudcoreano non ha potuto fare altro che dire che “la persona al comando” è Donald Trump. Tradotto: sarà lui a decidere cosa fare dopo il cambiamento di retorica da parte di Pyongyang, che la settimana scorsa ha cancellato all’ultimo minuto trattative di alto livello con una delegazione sudcoreana minacciando il faccia a faccia con Trump. Accogliendo Moon Jae-in alla Casa Bianca, il leader Usa ha nuovamente sparigliato le carte. Forse per fare capire a Pyongyang che non vuole farsi prendere in giro, Trump ha detto che ci sono “considerevoli possibilità” che l’incontro storico con Kim Jong Un non si verifichi nella tempistica prevista. “Questo non significa che la cosa non funzionerà in un certo arco temporale”. Insomma, il 45esimo Commander in chief potrebbe prendere tempo anche perché esige il rispetto di “determinate condizioni” per il summit. Se l’incontro non ci sarà il 12 giugno, “potrebbe esserci più avanti”.
L’autore de “The Art of the Deal” – un libro scritto negli anni ’80 – ha però teso la mano a Kim. A lui ha promesso protezione in cambio di una denuclearizzazione del suo Paese, che “sarebbe meglio” se si verificasse in un “colpo solo”. Peccato che Pyongyang abbia bocciato un “abbandono nucleare unilaterale”, figuriamoci un modello libico della denuclearizzazione ventilato dal ‘falco’ John Bolton, consigliere per la sicurezza nazionale di Trump. Per questo Trump ha fatto capire che Kim sarà al sicuro e non farà la fine di Muammar Gheddafi. Facendo eco al motto della sua campagna elettorale (Make America Great Again), Trump ha affermato che tra 25 anni Kim sarà “molto orgoglioso” di quanto fatto per il suo Paese se alla fine un accordo verrà siglato. E solleticando il forte bisogno di finanziamenti in una Corea del Nord messa in ginocchio dalle sanzioni internazionali, Trump ha spiegato che “Corea del Sud, Cina e Giappone sono disposti ad aiutare e, credo, a investire un ammontare molto alto di denaro per rendere la Corea del Nord grandiosa”. Il suo Paese, ha continuato facendo riferimento a Kim, “sarà ricco”.
Il fatto che Trump abbia messo in dubbio la tempistica del suo vertice con Kim contrasta non solo con quanto detto ore prima da Chung Eui-yong, consigliere per la sicurezza nazionale del presidente sudcoreano (“Crediamo che al 99,9%” il summit Trump-Kim ci sarà) ma anche con quanto fatto capire fino ad ora dalla Casa Bianca. Almeno formalmente. Il presidente americano è tornato a insinuare che il presidente cinese Xi Jinping – un “player di poker di prima classe” – abbia avuto un ruolo nel ritorno di Pyongyang a una retorica dura. “Non posso dire di essere contento” del secondo incontro in due mesi avvenuto in Cina l’8 maggio scorso tra Kim e il presidente cinese Xi Jinping. “Forse nulla è successo. Forse farei le stesse cose se fossi Xi”, ha detto il leader Usa. Eppure Trump crede che il leader nordcoreano sia “serio” sul summit in via di definizione. Lo dimostra il fatto che abbia liberato tre cittadini Usa. Dopo l’avvertimento arrivato da Washington a Pyongyang, il lavoro diplomatico torna nelle mani di Moon, da sempre disposto a una riappacificazione tra le due Coree. Stando a quanto detto da Trump, lui e Kim si incontreranno presto dopo il loro incontro storico di fine aprile. “Sta a loro” discutere di una potenziale riunificazione delle due Coree ma per il presidente Usa i colloqui su questo tema potranno avvenire in futuro, “non ora”.