Kim Jong Un e Donal Trump
Nel profluvio di dichiarazioni rilasciate ieri dal presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, nello Studio Ovale durante l’incontro con il segretario generale della Nato, Mark Rutte, una frase potrebbe essere sfuggita ai più, ma non certo alla leadership sudcoreana, attualmente in una fase di confusione politica: il numero uno della Casa Bianca ha nuovamente definito la Corea del Nord come “una potenza nucleare”.
Ieri, Trump è stato molto chiaro rispondendo a una domanda sulle sue relazioni con il leader nordcoreano: “Ho un ottimo rapporto con Kim e vedremo come andrà, ma sicuramente lui è una potenza nucleare”. Il presidente americano ha ricordato i tre incontri organizzati durante il suo primo mandato, che avevano creato grandi aspettative ma che, alla fine, non hanno portato a nessun accordo concreto. Da allora, il regime di Pyongyang si è ulteriormente chiuso, anche a causa della pandemia di Covid-19, interrompendo ogni dialogo con Washington.
Kim Jong Un, dal canto suo, ha continuato a insistere con i test missilistici e, in ogni dichiarazione pubblica, ha ribadito che la linea ufficiale del suo governo è quella del rafforzamento della deterrenza nucleare. Negli ultimi mesi, il leader nordcoreano ha visitato almeno due volte gli impianti per lo sviluppo di armi nucleari, mostrandosi persino tra le centrifughe necessarie per l’arricchimento del materiale fissile. In questo contesto, il riconoscimento della Corea del Nord come potenza nucleare da parte di Trump potrebbe preludere a un cambio di strategia: l’obiettivo della denuclearizzazione potrebbe essere messo da parte, per concentrarsi invece sulla necessità di incanalare i rapporti di sicurezza con Pyongyang all’interno di meccanismi di controllo internazionali. Si passerebbe, quindi, da una logica di non proliferazione a un dialogo tra potenze nucleari.
La Corea del Sud, attualmente impelagata in una complessa crisi politica interna, si trova in una posizione di debolezza. La mancanza di una leadership chiara e autorevole rende difficile per Seoul dettare una linea coerente e trattare con Washington in modo efficace. Anche il Giappone, altro alleato regionale degli Stati Uniti, sta affrontando una fase di instabilità politica, con un governo poco solido e più concentrato sul conflitto commerciale con Washington riguardo ai dazi che sulla questione nordcoreana.
Trump aveva già definito Pyongyang una “potenza nucleare” immediatamente dopo il suo insediamento, il 20 gennaio 2017. Tuttavia, in seguito, la Casa Bianca aveva ribadito l’obiettivo della completa denuclearizzazione della Corea del Nord, cercando di placare le proteste da parte di Seoul. Un funzionario della Casa Bianca aveva dichiarato: “Il presidente Trump perseguirà la completa denuclearizzazione della Corea del Nord, proprio come ha fatto nel suo primo mandato”. Inoltre, durante una riunione congiunta a Monaco lo scorso mese, il ministro degli Esteri sudcoreano Cho Tae-yul, il segretario di Stato americano Marco Rubio e il ministro degli Esteri giapponese Takeshi Iwaya hanno ribadito il loro “risoluto” impegno per la “completa denuclearizzazione” della Corea del Nord, denunciando al contempo le “violazioni sistematiche, diffuse e gravi” dei diritti umani nel Nord.
Diversi osservatori internazionali hanno sottolineato come un eventuale abbandono dell’obiettivo della denuclearizzazione della Corea del Nord potrebbe avere conseguenze destabilizzanti per l’intera regione. In particolare, Seoul potrebbe sentirsi costretta a dotarsi a sua volta di armi nucleari, dando inizio a una pericolosa corsa agli armamenti in Asia orientale. Questo scenario aprirebbe un capitolo nuovo e potenzialmente esplosivo nella già complessa geopolitica della penisola coreana e delle aree limitrofe.