Trump silura il capo dell’Fbi Comey. Indagava sulla Russia

Trump silura il capo dell’Fbi Comey. Indagava sulla Russia
10 maggio 2017

Alla fine James Comey è stato licenziato. Da Donald Trump, che ora può nominare a suo piacimento il nuovo capo dell’Fbi. Scelto da Barack Obama nel 2013 e sopravvissuto alle polemiche sorte sul finire della campagna elettorale per la sua gestione dell’emailgate riguardante Hillary Clinton, Comey è stato silurato con effetto immediato ieri nella serata america. Una mossa giudicata da molti “scioccante” dal momento che si verifica mentre la polizia federale americana guidata dallo stesso Comey sta conducendo un’inchiesta sulla presunta interferenza della Russia nelle elezioni presidenziali dell’8 novembre 2016 e sui potenziali legami tra lo staff di Trump e funzionari russi. Non a caso l’opposizione democratica, che subito ha fatto paragoni con lo scandalo Watergate, ha chiesto la nomina di un procuratore speciale affinché porti avanti il Russiagate. Comey (foto) è il secondo e unico direttore dell’Fbi ad essere stato cacciato: lo stesso destino toccò nel 1993 a William Sessions; allora alla presidenza c’era Bill Clinton. Il 45esimo presidente americano ha preso la decisione legalmente lecita ma politicamente controversa seguendo le raccomandazioni del segretario alla Giustizia Jeff Sessions – che ha dovuto astenersi dal cosiddetto Russiagate su cui indaga anche il Congresso dopo che è emerso che aveva mentito sotto giuramento sui suoi incontri con l’ambasciatore russo – e dal suo vice Rod Rosenstein. “L’Fbi è una delle istituzioni più rispettate e lodate della nostra nazione”, ha detto il portavoce di Trump in una nota. La mossa “segna un nuovo inizio per il gioiello delle forze dell’ordine” Usa. La ricerca di un successore “qualificato e con esperienza” è già iniziata. Comey è stato informato dallo stesso Trump con una lettera consegnata a mano e nella quale ha scritto: “Pur apprezzando notevolmente il fatto che mi abbiate fatto sapere, in tre diverse occasioni, che non sono sotto inchiesta, non posso che concordare con il dipartimento di Giustizia: Lei non è in grado di guidare in modo efficace il bureau”. Nella stessa missiva, l’inquilino della Casa Bianca ha spiegato che “è essenziale trovare una nuova leadership nell’Fbi per ristabilire la fiducia del pubblico nella sua missione vitale”.

IL MOTIVO (POLITICO?) DEL LICENZIAMENTO Apparentemente, il motivo del licenziamento è semplice: secondo funzionari del dipartimento di Giustizia, Comey ha violato i principi del dipartimento stesso nel gestire il caso delle email di Clinton. Peccato che il giudizio, su fatti avvenuti tra luglio e novembre dello scorso arrivi solo ora e che Trump, una settimana prima della chiamate alle urne che gli avrebbe poi garantito una vittoria a sorpresa, avesse lodato “il pelo sullo stomaco” dimostrato da Comey il 28 ottobre scorso, quando comunicò al Congresso il ritrovamento di email che avrebbero potuto essere rilevanti nell’ambito dell’indagine chiusa l’estate precedente senza alcuna incriminazione e relativa all’uso di un account email privato di Clinton durante gli anni in cui lei era a capo della diplomazia Usa. Secondo l’allora candidato repubblicano, quella mossa era “stata la cosa giusta da fare” e grazie ad essa Trump aveva “riconquistato fiducia” in Comey. Poi il caso fu chiuso, di nuovo, senza alcuna incriminazione a soli due giorni dalle elezioni. Non solo. Il vicesegretario alla Giustizia ha fatto riferimento alla conferenza stampa del luglio 2016 nella quale Comey aveva annunciato che Clinton non sarebbe stata incriminata nonostante un comportamento “estremamente imprudente” riguardante l’uso di un server privato quando era appunto segretario di Stato. Secondo Rosenstein, Comey aveva scavalcato l’allora segretario alla Giustizia Loretta Lynch. “Non si fanno conferenze per fornire informazioni dispregiative”, come se i rivali di Clinton non fossero stati contenti di qualsiasi dichiarazione a danno dell’allora rivale di Trump. “La reputazione e la credibilità dell’Fbi hanno sofferto un danno notevole e ciò ha condizionato tutto il dipartimento di Giustizia”, ha continuato Rosenstein in un memo. “Non posso difendere la gestione del direttore [dell’Fbi] sulle conclusioni dell’indagine riguardante le email di Clinton e non capisco il suo rifiuto ad accettare l’opinione generale secondo cui lui ha sbagliato. Quasi tutti sono d’accordo nel credere che il direttore abbia fatto errori gravi; è una delle poche cose che uniscono le persone dalle vedute diverse”.

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LE REAZIONI Subito i critici dell’amministrazione Trump hanno sollevato il sospetto che questa sia solo una scusa e che il licenziamento di Comey sia dettato da motivi politici. Non a caso c’è chi paragona questo licenziamento a quello di Archibald Cox voluto il 20 ottobre 1973 dal 37esimo presidente Richard Nixon: Cox era il procuratore speciale nello scandalo Watergate che ha poi portato l’anno successivo alle dimissioni dello stesso Nixon. James Clapper, l’ex capo dell’intelligence Usa, ha detto che l’addio di Comey rappresenta “una grave perdita per l’Fbi e la nazione”. Charles Schumer, il leader della minoranza democratica al Senato, ha spiegato di avere detto a Trump che la mossa rappresenta un “grande errore”. E’ lui ad avere posto le domande che il Paese intero si domanda: Perché ora? Perché l’amministrazione Trump non ha sollevato le sue obiezioni su Comey nel momento in cui il 45esimo presidente è entrato nella Casa Bianca? Il sospetto è che il licenziamento di Comey “non sia una coincidenza” come non lo è stato il siluramento di Sally Yates, ex segretario alla Giustizia ad interim cacciata da Trump a 10 giorni esatti dal suo insediamento (aveva consigliato a tutti gli avvocati del dipartimento di non difendere in tribunale la prima versione del ‘muslim ban’ voluto dal successore di Obama). Anche Preet Bharara, procuratore di Manhattan, è stato “fired” da Trump.

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Questi licenziamenti sono per Schumer “profondamente preoccupanti”. E se Trump non nomina un procuratore speciale, ha detto il senatore di New York, “il popolo americano sarà portato a credere che si tratti di una copertura”. In salsa russa, viene da dire. Secondo Richard Blumenthal, senatore parte della commissione Giustizia, Trump ha “compromesso catastroficamente le indagini in corso dell’Fbi sui legami della Casa Bianca con la Russia. Il nostro sistema legale non è mai stato così minacciato dai tempi del Watergate e la nostra fede nell’indipendenza e integrità di questo sistema sono scossi”. Invece che brindare, anche la squadra di Clinton durante la campagna ha mostrato scetticismo. Tim Kain, colui che sarebbe diventato presidente nel caso l’ex first lady fosse diventata presidente, ha twittato: “Il licenziamento di Comey da parte di Trump dimostra quanto all’amministrazione sia preoccupata dell’inchiesta sulla Russia. Il licenziamento di Comey è parte di un’abitudine della Casa Bianca di coprire la verità”. John Podesta, il presidente della campagna di Clinton, ha fatto riferimento all’epurazione di Nixon avvenuta nel cosiddetto “Massacro del sabato notte” e su Twitter ha scritto: “@realDonaldTrump, non sapevi che dovevi aspettare fino a sabato notte per massacrare le persone che stanno indagando su di te?”. Il senatore repubblicano Marco Rubio non ha voluto commentare ma ha detto di aspettarsi “che l’Fbi continui a funzionare”. Lindey Graham, un senatore del Gop per niente vicino a Trump, ha promosso invec il licenziamento di Comey: “Viste le controversie recenti riguardanti il direttore, credo che un nuovo inizio farà bene all’Fbi e alla nazione”.

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