Politica

Trump svela la “grandiosa” riforma fiscale, ma mancano i dettagli. E le risorse

Donald Trump l’ha definita “grandiosa”. Il suo consigliere economico la considera “un’opportunità che capita una volta per generazione”. Il segretario al Tesoro crede che sia un mezzo per portare ad almeno il 3% la crescita annua degli Stati Uniti alimentando l’occupazione e convincendo le aziende americane a rimpatriare “migliaia di miliardi di dollari” di utili parcheggiati all’estero. Ma la riforma fiscale presentata dalla Casa Bianca come la “maggiore dal 1986” non ha stupito praticamente nessuno, nemmeno gli investitori che a Wall Street hanno fatto perdere slancio agli indici. Il motivo è semplice: il 45esimo presidente Usa vuole sì promuovere “uno dei maggiori tagli delle tasse nella storia Usa” ma i dettagli scarseggiano, anche su come coprire le entrate nelle casse del fisco che verrebbero a mancare. In una conferenza stampa congiunta, Gary Cohn e Steven Mnuchin – rispettivamente direttore del National Economic Council e ministro dell’Economia – non hanno fatto altro che confermare le indiscrezioni che circolavano da giorni: l’imposta sulle aziende verrà ridotta al 15% dal 35% con l’intento di eliminare quello che viene considerato uno svantaggio competitivo per la Corporate America, a cui verrà offerta per altro una tassa una tantum per il rimpatrio degli utili generati al di fuori degli Usa; il numero delle aliquote per le persone fisiche verrà ridotto a tre da sette (al 10%, al 25% e al 35% contro la più alta in vigore attualmente al 39,6%).

Per le famiglie, i primi 24.000 dollari di reddito non verranno tassati (il doppio rispetto a quanto previsto ora) ma quelle che vivono in Stati come New York, New Jersey e California dove le tasse sono particolarmente alte non potranno più detrarre le tasse municipali e statali dai redditi dichiarati. Viene inoltre eliminata la tassa di successione, sono previste agevolazioni per l’assistenza all’infanzia ed è garantita “la protezione della proprietà abitativa e delle detrazioni di spese fatte in beneficenza”. Di più, non è stato detto. E infatti, mentre nella sala stampa della Casa Bianca veniva fatto circolare un foglio soltanto per riussumere i (pochi) punti della riforma, Cohn ha promesso: “Vi faremo sapere i dettagli al momento opportuno. Stiamo discutendo intensamente con il Congresso”, che deve approvare la proposta. Mnuchin spera sia approvata “entro la fine dell’anno in corso” (ma in passato puntava a prima delle ferie d’agosto). E’ stato Cohn, ex presidente di Goldman Sachs reclutato da Trump, a ricordare che all’inizio degli anni ’60, quando il presidente Jfk aveva tagliato le tasse, “l’aliquota per le persone era al 90% e l’evasione era galoppante”.

Con Ronald “Reagan l’aliquota fu portata al 28% e dopo di lui è tornata a salire”. Quando il 40esimo presidente lasciò la Casa Bianca nel 1988 “l’imposta sulle aziende era al 34% e da allora è rimasta più o meno a quel livello”, ha aggiunto Cohn. I principi chiave della riforma che “non son negoziabili”, secondo Mnuchin, sono “rendere le aziende competitive, semplificare la dichiarazione dei redditi, agevolare il rimpatrio di utili parcheggiati all’estero dalle aziende Usa”. E’ lui ad avere detto che “le mancate entrate verranno coperte con la crescita economica, cosa che porterà a una riduzione di deficit e debito”. Sono tuttavia pochi gli economisti che ci credono. Secondo la commissione congiunta di Camera e Senato sulla Tassazione, per ogni punto percentuale in meno dell’aliquota le entrate federali calano di 100 miliardi di dollari in un decennio (per fare un esempio, una riduzione del 20% costerebbe al Governo 2.000 miliardi di dollari in dieci anni). Trump ha evitendemente bisogno di rendere l’America Great Again affinché la sua riforma fiscale non lasci un buco enorme nelle casse del Fisco.

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