Politica

Trump a Tokyo incontra familiari dei rapiti da NordCorea

Il presidente degli Stati uniti Donald Trump ha incontrato oggi i parenti dei cittadini giapponesi rapiti dalla Corea del Nord negli anni ’70 e ’80, promettendo loro un impegno per risolvere questa pagina oscura e non ancora risolta della storia recente dell’Asia orientale e offrendo alla Corea del Nord un’apertura, se dovessero restituire le vittime ancora sotto il loro controllo. L’incontro, che era stato concordato dal leader americano con il primo ministro nipponico Shinzo Abe, è durato una trentina di minuti ed è stato a porte chiuse, spiega lo Yomiuri shimbun. Il capo del governo nipponico era presente. “Intendo unire le mie forze per fare in modo che le vittime possano riunirsi con coloro che le amano”, ha affermato Trump, che ha stretto la mano a tutti i presenti e, in primis, a Sakie Yokota, la madre dell’allora tredicenne Megumi Yokota, sequestrata da agenti nordcoreani a Niigata. Il 15 novembre saranno 40 anni dal rapimento e sulla sua sorte non c’è ancora alcuna certezza. Trump aveva già citato il caso di Megumi – simbolo della campagna per la liberazione dei rapiti – durante il suo primo discorso all’Assemblea generale delle Nazioni unite. All’incontro, con Sakie, hanno preso parte 17 parenti delle vittime. Tra loro anche Hitomi Soga, che fu rapita nel 1978. Era lì nella doppia veste di rapita e parente di rapiti: quando fu sequestrata era in compagnia della madre, della quale da allora non si è saputo più nulla. La vicenda dei rapiti è particolarmente sentita in Giappone. Abe ha offerto a Trump la coccarda e quella spilletta azzurra che lui stesso porta in tutti gli incontri ufficiali e che rappresenta un memento rispetto alla questione dei rapimenti, una vicenda conosciuta in Giappone come “rachi-jiken”.

I rapimenti erano talvolta mirati, più spesso le vittime erano scelte a caso. Venivano effettuati con diversi scopi, uno dei quali era quello di fornire degli addestratori di lingua e cultura per le spie che dovevano infiltrarsi in Giappone, altre volte erano a scopi matrimoniali (Soga fu data in moglie a un disertore americano). Il Giappone ha accertato almeno 17 rapimenti, ma ve ne sono molti di più sui quali esistono vari livelli di sospetto. La strategia dei sequestri, inoltre, non era limitata al solo Giappone: tra le vittime figurano cittadini di molte nazionalità. Almeno un rapimento avvenne anche in Italia: quello della pittrice romena Doina Bumbea, poi fatta sposare con un soldato Usa che aveva disertato attraversando il 38mo Parallelo, che divide le due Coree. Pyongyang, dal canto suo, ha ammesso, durante uno storico vertice del 2002 tra l’allora premier nipponico Junichiro Koizumi e l’allora leader nordcoreano Kim Jong Il, 13 rapimenti. Di questi, otto sarebbero morti e cinque vivi. I cinque vivi, dopo una complessa vicenda diplomatica, sono in Giappone. Per quanto riguarda gli otto dati per morti, tra i quali Megumi, la Corea del Nord non ha fornito alcuna prova definitiva del loro decesso. Anche i resti di Megumi, inviati in Giappone, non sono risultati conclusivi e, anzi, hanno acuito la diffidenza nei confronti di una versione nordcoreana che fa acqua da tutte le parti.

Alla fine dell’incontro, Trump ha suggerito al leader nordcoreano Kim Jong Un di rilasciare i rapiti ancora in possesso della Corea del Nord. “Io penso che sarebbe un importantissimo segnale se Kim Jong Un li riportasse indietro”, ha detto ai giornalisti alla fine dell’incontro. “Se li mandasse a casa – ha aggiunto – questo potrebbe essere l’inizio di qualcosa di molto speciale, se lo facesse”. Takuya Yokota, uno dei due fratelli di Megumi, ha detto di aver visto Trump raccolto di fronte alle foto dei giorni felici della famiglia Yokota. “Ho avuto l’impressione che il presidente conosca bene la vicenda e provi solidarietà per noi”, ha detto. Dal canto suo Shigeo Iizuka, fratello della rapita Yaeko Taguchi, ha detto che l’incontro è “una pietra miliare per muoversi avanti”. Trump non è il primo presidente americano che incontra gli Yokota e i familiari dei rapiti. Già George W. Bush e Barack Obama avevano concesso loro udienza. Tuttavia è la prima volta che un inquilino della Casa bianca si impegna così direttamente sulla questione dei rapimenti e pone esplicitamente la questione della restituzione dei rapiti come un elemento che potrebbe far fare un passo avanti al dialogo con Pyongyang.

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