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Trump dà via libera a Erdogan, la Turchia pronta a invadere la Siria. Preoccupazione Onu, Ue e Russia

Il via libera è arrivato ieri. Donald Trump ha parlato con il suo omologo turco, Recep Tayyp Erdogan e lo ha rassicurato: gli Stati uniti non ostacoleranno i piani di Ankara. La Turchia ha dichiarato guerra alle milizie curde del Nord della Siria ed è pronta a invadere la regione, utilizzando migliaia di uomini, mezzi terrestri e aerei. Un’operazione imminente, “forse sarà oggi, o forse domani”, ha ammesso Erdogan, in partenza per una visita di due giorni in Serbia. Ma prima di agire, il presidente turco è stato costretto a comunicare con Washington, e qui ha trovato le risposte che cercava. Le stesse che Trump, questa mattina, ha messo nero su bianco su Twitter: “Mi sono tenuto a distanza da questa battaglia per quasi 3 anni, ma è ora per noi di uscire da queste ridicole guerre senza fine, molte delle quali tribali, e di riportare a casa i nostri soldati”. E così le Unità curde di protezione del popolo (Ypg) perdono il loro principale e più potente protettore in poco meno di 24 ore. Sedotte, abbandonate e deluse. Gli Stati Uniti si ritirano da un’area che si sta “trasformando in una zona di guerra”, ma la le Forze democratiche siriane (SDF) “difenderanno la Siria nord-orientale a tutti i costi”, ha commentato il portavoce della SDF, Mustafa Bali.

L’obiettivo di Ankara è stato prima annunciato da Erdogan e poi confermato, questa mattina, dal suo ministro degli Esteri Mevlüt Cavusoglu. L’operazione è stata “pianificata a lungo”: la Turchia vuole istituire “una zona sicura” al confine e creare “le condizioni utili al ritorno dei rifugiati siriani nel loro Paese natale”. Sono oltre 3,6 milioni quelli fuggiti dalla guerra civile iniziata nel 2011 e Ankara ne vuole trasferire fino a due milioni dal suo territorio. “Dall’inizio della guerra in Siria, abbiamo sostenuto l’integrità territoriale della Siria e continueremo a farlo. Siamo determinati a proteggere la nostra (…) sicurezza ripulendo quest’area dai terroristi”, ha detto Cavusoglu. L’attacco è imminente, seppure Ankara – strategicamente – non ha fornito alcuna data. L’area individuata è quella “a Est dell’Eufrate”. “C’è una frase che diciamo sempre: possiamo arrivare ogni notte senza preavviso”, ha spiegato Erdogan. “È assolutamente fuori discussione per noi tollerare ulteriormente le minacce di questi gruppi terroristici”, ha insistito, facendo riferimento alle milizie curde, che non avranno più il sostegno Usa.

A scanso di equivoci, la Casa Bianca lo ha ribadito con chiarezza nella notte: “Le forze armate degli Stati Uniti non sosterranno né saranno coinvolte nell’operazione e le forze degli Stati Uniti, avendo sconfitto il califfato territoriale dell’Isis, non saranno più nelle immediate vicinanze”. Poi è stata la volta di Trump: “Gli Stati Uniti dovevano restare in Siria per 30 giorni, questo molti anni fa. Siamo rimasti e siamo andati sempre più a fondo a una battaglia senza obiettivi all’orizzonte. Quando sono arrivato a Washington, l‘Isis dilagava incontrollato nell’area. Abbiamo sconfitto rapidamente il 100% del califfato dell’Isis […] I curdi hanno combattuto con noi, ma sono stati pagati con soldi e armi per farlo. Combattono i turchi da decenni”, ha scritto il presidente Usa su Twitter. E mentre le truppe Usa fanno marcia indietro, le Nazioni Unite “si preparano al peggio” e l’Unione Europea ricorda – per bocca dell’Alto rappresentante Federica Mogherini – che “qualsiasi ripresa delle ostilità accrescerà le sofferenze del popolo siriano, comporterà degli esodi di popolazione e comprometterà gli sforzi politici intrapresi per risolvere questo conflitto”. Il Cremlino da parte sua, auspica che la Turchia “aderisca al principio” della “integrità territoriale e politica della Siria”. askanews

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