Editoriale

Trump vince (ancora): il caso Stephanopoulos e Abc, accordo milionario e la difficoltà dei media Usa

“Farò il mio lavoro senza essere spaventato da una minaccia”. Così George Stephanopoulos della Abc in un’intervista concessa a Stephen Colbert della Cbs nel mese di maggio del corrente anno. Il giornalista, già consigliere dell’amministrazione di Bill Clinton negli anni 90, era stato denunciato da Donald Trump per diffamazione. Nel suo programma alla Abc Stephanopoulos aveva dichiarato che l’ex presidente era stato condannato di “stupro” nel caso di E. Jean Carroll. La lingua usata alla conclusione del processo però specificò la condanna come “aggressione sessuale” perché la situazione non entrava tecnicamente nel linguaggio espresso da Stephanopoulos.

La Corte Suprema

Stephanopoulos e la Abc hanno cambiato idea decidendo di patteggiare con il neo eletto presidente, riconoscendo lo sbaglio del giornalista. Il risarcimento dell’accordo include un contributo di 15 milioni di dollari all’eventuale costruzione della biblioteca presidenziale di Trump, 1 milione per le spese legali, e una scusa pubblica da apparire nel sito della Abc. Vincere un caso di diffamazione non è facile per figure pubbliche. La Corte Suprema si è espressa al riguardo asserendo che il querelante deve dimostrare che un editore sia al corrente della falsità pubblicata o abbia agito in maniera spericolata senza preoccuparsi dell’accuratezza. Nel caso di Stephanopoulos e della Abc il nocciolo della questione era la definizione del reato. La legge statale di New York ha una precisa definizione di stupro che differisce dalla concezione popolare.

I casi New York Times, Cnn e Washington Post

Senza entrare nei dettagli anatomici molti analisti hanno interpretato il patteggiamento come una sconfitta immeritata e una vittoria di Trump. In altri casi intrapresi contro il New York Times, la Cnn e il Washington Post Trump non è riuscito a prevalere. Il neo eletto presidente non è riuscito a prevalere nemmeno nel caso di E. Jean Carroll che abbiamo discusso in queste pagine. Trump è stato condannato di aggressione sessuale e poi di diffamazione perché ha continuato a denigrare la Carroll ed è stato condannato a risarcirla di 90 milioni di dollari. Il caso è in appello e adesso con l’immunità di presidente in carica di non si sa come andrà a finire. Si tratta di un caso giudiziario civile quindi con ogni probabilità verrà rimandato per non impedire a Trump i suoi compiti presidenziali.

L’accordo raggiunto dalla Fox

Altri casi eclatanti di diffamazione contro alleati di Trump sono stati decisi sfavorevolmente. Il primo di questi è quello della Dominion Software che l’anno scorso patteggiò con la Fox News, rete molto amica di Trump, ricevendo 787 milioni di dollari. La Dominion aveva denunciato la Fox per avere mentito spudoratamente che i suoi sistemi di conteggio dei voti avevano assegnato voti a Joe Biden che spettavano a Trump. Poco prima che iniziasse il processo la Fox ha raggiunto l’accordo temendo di perdere la causa o la rivelazione di informazioni imbarazzanti. Un altro caso di diffamazione, legato direttamente e indirettamente a Trump, è quello del suo ex avvocato Rudy Giuliani. L’ex sindaco di New York è stato condannato per diffamazione nello Stato della Georgia per avere asserito senza prove che due impiegate dell’ufficio elezioni avevano falsificato voti aiutando Biden a vincere. Giuliani è stato condannato a pagare 148 milioni di dollari ed ha dovuto dichiarare bancarotta.

Cala la fiducia nei media Usa

La decisione della Abc di piegarsi davanti a Trump manda un segnale di impotenza dei media davanti a un presidente che ha minacciato di usare le leve del governo per colpire giornali e reti televisive. In un certo senso si capisce la marcia indietro di Stephanopoulos inquadrata nella poca fiducia che i media godono con gli americani. Secondo gli ultimi sondaggi solo il 31% ha fiducia nei media come giornali, radio o televisione. Da aggiungere anche che i media continuano a perdere lettori e spettatori e si trovano dunque in una situazione finanziariamente precaria. Josh Marshall, del noto sito Talking Points Memo, però, intuisce un’altra interpretazione che spiega perché la Abc ha deciso di piegarsi a Trump. La Abc appartiene alla Walt Disney Corporation e come tante altre corporation non ha voluto grane con un’amministrazione Trump perché il suo business principale non sono le notizie.

Inimicarsi Trump non conviene

La stragrande maggioranza degli interessi di Disney sono altrove come lo sono quelli di proprietari di altri media posseduti da individui o aziende che hanno affari con il governo. Queste corporation hanno già dato segnali di “sorridere” a Trump contribuendo milioni di dollari per le attività dell’inaugurazione. I messaggi sono chiari che non vogliono proteggere l’integrità dei media ma i loro affari. Inimicarsi Trump non conviene. La miglior maniera è di farselo amico. Uno dei pochi media che non ha altri affari al di là del giornalismo è il New York Times che potrebbe fare da baluardo contro gli abusi di Trump. Non a caso, dei tre giornali più noti, il New York Times ha offerto il suo endorsement a Kamala Harris, delineando in un editoriale le ragioni per le quali Trump sarebbe completamente squalificato da divenire presidente.

*Professore emerito all’Allan Hancock College, Santa Maria, California. Alcuni dei suoi articoli hanno vinto premi della National Association of Hispanic Publications

Pubblicato da
Domenico Maceri*