Le serie televisive sono diventate i più pericolosi concorrenti dell’industria cinematografica, grazie anche a un ritmo narrativo sempre incalzante e a una fidelizzazione mutuata dai feuilleton ottocenteschi con clamorosi colpi di scena sapientemente sospesi a fine puntata, una sorta di coitus interruptus catodico o digitale che dir si voglia. Un successo planetario. Anche in Turchia.Scene in esterno per l’ultimo episodio della serie “Questione d’onore”, una delle 40 serie turche teletrasmesse da settembre. Tecnici di ripresa, attori, truccatori e quant’altro non possono permettersi cali d’attenzione. Bisogna fare in fretta: l’episodio, due ore e 20 minuti, deve andare in onda tra sei giorni. “Lavoriamo sei giorni a settimana, spiega Altan Dolmez, regista della serie, perché dobbiamo produrre una puntata da 140 minuti. Riceviamo una novantina di pagine di sceneggiatura a settimana e lavoriamo un minimo di 12 ore al giorno, più spesso tra le 14 e le 16”. Alla faccia del minimo sindacale.In pochi anni, dato il successo registrato, la durata degli episodi è raddoppiata per la pressione delle catene televisive che provvedono a sezionare ogni puntata per le sempre più invasive interruzioni pubblicitarie.
E per i 15mila addetti delle soap opera turche tenere questi ritmi diventa ogni giorno più difficile. “C’è un enorme consumo di farmaci, soprattutto ansiolitici e anfetamine, per calmare i nervi e aumentare la resistenza, dichiara un sindacalista del settore. I prodotti chimici sono così diffusi perché è impossibile resistere a queste pressioni”. Non sorprende quindi la crescita esponenziale degli incidenti sul set, alcuni anche mortali, per mancanza di prove. Il ministero del Lavoro è stato costretto a intervenire per rafforzare i regolamenti e le norme di sicurezza. Ma non è tutto. Su tutti pesa una precarietà intollerabile. Le società di produzione non stipulano contratti di lavoro, gli addetti vengono trattati come lavoratori autonomi, senza contributi pensionistici e copertura assicurativa medica. Anche se non sono certo i finanziamenti che mancano. Le serie turche sono molto apprezzate e rivendute in tutto il mondo. Nel 2013 hanno fruttato al paese oltre 150 milioni di dollari nel settore dell’export. (Immagini Afp)