È uno dei dipinti più famosi al mondo e attira migliaia di visitatori nella sala della National Gallery di Londra dove è esposto. Ma il “Ritratto dei coniugi Arnolfini” di Jan Van Eyck potrebbe nascondere una storia molto diversa da quella, apparentemente ordinaria, che per secoli abbiamo accettato. Jean-Philippe Postel, medico e scrittore parigino, ha sottoposto il quadro a una sorta di analisi clinica che lo ha portato a risultati sorprendenti, raccontati nel godibilissimo libro “Il mistero Arnolfini”, che in Italia esce per Skira. E tutto è successo per colpa del celebre specchio al centro del dipinto. “Ho osservato un ingrandimento dello specchio – ci ha raccontato Postel – e ho notato che c’erano molte discordanze con la scena della stanza, c’erano molte anomalie. E siccome Van Eyck era un pittore estremamente meticoloso, estremamente attento a qualunque dettaglio, queste anomalie mi sono sembrate volute”.[irp]
Una di tali discrepanze, forse la più evidente, è che il cagnolino che si trova tra i due coniugi nello specchio non si riflette, ma, guardando molto da vicino, si scopre una serie di altri elementi misteriosi che riguardano la posizione della donna, le mani dei due protagonisti, una sorta di strana nuvola che sembra avvolgere l’uomo. E dallo studio di queste tracce, Postel arriva a formulare una affascinante ipotesi che riguarda lo stesso Van Eyck, visite di spettri, giuramenti infuocati e altre macabre situazioni. “Lo specchio dice la verità, come raccontano anche le favole – ha aggiunto lo scrittore – e se l’immagine nello specchio e quella nella stanza non sono più sovrapponibili… allora è lo specchio a cui dobbiamo credere. E partendo da questo il dipinto racconta una storia diversa, che mi sono appassionato a ricostruire”.[irp]
Ricostruzione che, lo stesso Postel è consapevole di avere portato a un punto in cui l’opinabilità è massima, seppur l’ipotesi sia comunque documentata. Ma quello che più conta, considerando il fatto che è di un libro che stiamo parlando, è la resa di questa storia, è il meccanismo narrativo che la sostiene, il quale, fatti salvi pochi slanci logici meno giustificati, funziona ed è estremamente godibile. “Ci sono due dipinti in uno – ha concluso Jean-Philippe Postel – che mostrano due cose diverse, ma l’insieme dei due dipinti funziona, portando con sé un doppio significato”. E una cosa è certa, dopo aver letto il libro non si potrà più guardare agli Arnolfini, chiunque essi siano, con gli stessi occhi.[irp]