Il Tribunale civile di Messina ha condannato la Presidenza del Consiglio dei ministri al pagamento di una somma di circa 300.000 euro a favore dei tre figli minori di una donna uccisa dal marito il 3 ottobre 2007 a Palagonia, in provincia di Catania. Il Tribunale ha giudicato in relazione alla legge sulla responsabilita’ civile dei magistrati che sarebbero dovuti intervenire con efficacia dopo le segnalazioni della vittima. Dodici le querele presentate e “ciononostante – si legge delle contestazioni del ricorrente, un parente dei minori, ricostruite nel provvedimento – la Procura della Repubblica di Caltagirone nulla ha fatto per impedire la consumazione dell’omicidio della donna”. La vicenda riguarda un femminicidio di una madre di tre figli uccisa dal marito. La donna per mesi aveva denunciato di aver subito minacce di morte dal marito. I tre bambini, rimasti orfani di madre all’eta’ di 3, 5 e 6 anni, e con il padre in carcere, furono adottati da un parente della donna che li ha cresciuti come suoi figli e che ha intentato causa, volendo andare a fondo sul fatto che le denunce della donna non avevano avuto seguito. Si e’ aperto un procedimento lungo con diversi passaggi che e’ sfociato nella sentenza del Tribunale civile di Messina che ha riconosciuto il danno patrimoniale.
“La vicenda si inserisce nel quadro di un aspro, conflittuale e penoso giudizio di separazione tra coniugi in cui entrambe le parti lottavano per ottenere l’affidamento della prole”, si legge nella sentenza del Tribunale di Messina, Prima Sezione Civile – Caterina Mangano presidente, Claudia Giovanna Bisignano giudice relatore. Il provvedimento spiega che il 2 giugno 2007 la vittima, “ha denunciato alla stazione dei carabinieri si essersi recata il 13 maggio presso l’abitazione dell’uomo e di averlo trovato all’esterno con i bambini; ha riferito che l’uomo alla vista della moglie aveva estratto un coltello a scatto”: il 30 maggio aveva puntato contro la 35enne Marianna un arco artigianale con una freccia metallica. Con lo stesso arco l’1 giugno era stata ancora minacciata, sempre alla presenza dei piccoli. La donna e’ stata poi uccisa a coltellate inferte all’addome e al torace con un coltello a serramanico dal marito 37enne che ora sta scontando 20 anni di carcere: “E’ razionalmente sostenibile che il coltello utilizzato nell’omicidio sia il medesimo coltello a scatto utilizzato per minacciare”. “Si puo’ pertanto affermare – prosegue la sentenza – che il rinvenimento del coltello e il sequestro avrebbero, con una valutazione probabilistica, impedito il verificarsi dell’evento omicida”. Parole durissime in riferimento a uno degli ‘anelli’ della catena di omissioni di cui sarebbero colpevoli i magistrati. “Conclusivamente i magistrati – si legge nel testo – nel non disporre nessun atto di indagine rispetto ai fatti denunciati a decorrere dal mese di giugno 2007 e nel non adottare nessuna misura volta a neutralizzare la pericolosita’ dell’uomo, hanno commesso una grave violazione di legge con negligenza inescusabile”.
In materia di violenza domestica, sottolinea il Tribunale, “il compito di uno Stato non si esaurisce nella mera adozione di disposizioni di legge che tutelino i soggetti maggiormente vulnerabili, ma si estende ad assicurare che la protezione di tali soggetti sia effettiva, evidenziando che l’inerzia delle autorita’ nell’applicare tali disposizioni di legge si risolve in una vanificazione degli strumenti di tutela in esse previste”. A ricorrere in sede civile era stato un cugino della donna che aveva accolto in casa i tre figli. Il procedimento e’ iniziato circa 5 anni fa; il Tribunale aveva dichiarato l’inammissibilita’ del ricorso per “tardivita’ dell’azione”, decisione confermata dalla Corte d’Appello. La Cassazione aveva invece accolto il ricorso e rinviato tutto alla Sezione civile per procedere in merito alla domanda di risarcimento nei confronti della Presidenza del Consiglio dei ministri. Il Tribunale ha ritenuto che il pagamento della somma 259.000 euro (maggiorata di altri importi), “sia stata formulata sulla scorta di criteri di stima assolutamente condivisibili”. “Ho visto il coltello. E ho visto l’arco con la freccia acuminata. Temo per la mia incolumita’”, aveva ripetuto nelle sue denunce Marianna. Ma “a fronte delle querele presentate a decorrere dal mese di giugno 2007”, pochi mesi prima di essere uccisa, a ottobre, insistono i giudici nel dispositivo di 31 pagine, “dalle quali poteva razionalmente presagirsi un intento se non omicida, quantomeno di violenza ai danni della donna, vi e’ stata una sostanziale inerzia dello Stato”.
Una serie di mancate decisioni che ai giudici consente di affermare che “la Procura di Caltagirone non abbia avuto contezza del tenore delle minacce rivolte alla vittima del reato e che abbia tra l’altro violato il precetto di sui all’articolo 112 della Costituzione, secondo cui ‘il pubblico ministero ha l’obbligo di esercitare l’azione penale'”. Ebbene, nel caso in esame “non risulta che in seguito agli episodi denunciati nel mese di giugno 2007, l’uomo sia stato iscritto nel registro degli indagati, ne’ che siano stati eseguiti atti di indagine di alcun tipo, a opera della polizia giudiziaria o della Procura”. Il compimento di una perquisizione “avrebbe condotto al rinvenimento del coltello denunciato e al suo conseguente sequestro, ipotizzandosi il reato di porto abusivo di mezzi atti a offendere al di fuori della propria abitazione senza giustificato motivo”. Il dispositivo cita la recente pronuncia della Corte europea dei diritti dell’uomo del 2 marzo 2017 che ha condannato l’Italia la violazione degli articoli 2 (Diritto alla vita), 3 (Divieto di trattamenti disumani e degradanti) e 14 (Divieto di discriminazione), in quanto “le autorita’ italiane, omettendo di agire tempestivamente dinanzi alla denuncia della ricorrente, vittima di violenza domestica, e di condurre diligentemente il relativo procedimento penale, hanno determinato una situazione di impunita’, che ha favorito la reiterazione delle condotte violente, fino a condurre al tentativo di omicidio della donna e all’omicidio del figlio della stessa”. Intanto, il ministro della Giustizia Andrea Orlando acquisira’ la sentenza emessa oggi a Messina per valutare eventuali accertamenti da disporre tramite l’Ispettorato di via Arenula.