Ucraina, conflitto nel Sud-Est pronto a riesplodere

Un anno fa, il 17 aprile 2014, la Comunità internazionale faceva il primo tentativo per mettere un tappo alla guerra in Ucraina, allora appena agli inizi. Gli accordi di Ginevra, sottoscritti da Ucraina, Russia, Unione Europea e Stati Uniti, definirono i passi per la normalizzazione che gli attori in causa, in primo luogo i separatisti filorussi e il governo di Kiev, avrebbero dovuto seguire per riportare la quiete nel Donbass. Dodici mesi dopo la situazione tra Donetsk e Lugansk è congelata, dopo un’altra serie di accordi, quelli di Minsk, rinnovati più volte tra il settembre dello scorso anno e il febbraio 2015, ma il conflitto è pronto a riesplodere. Intorno alle roccaforti delle regioni separatiste e vicino a Mariupol, porto strategico sul Mare d’Azov, la tregua è fragile e nelle scorse settimane sono aumentati gli incidenti e le provocazioni da entrambi i lati. Sempre complicata è la missione dell’Osce, l’Organizzazione per la sicurezza e cooperazione in Europa, che sin da Ginevra ha assunto il compito di mediazione e monitoraggio dell’implementazione dei patti.

Se all’inizio di questa settimana la diplomazia occidentale dal G7 a Lubecca ha ribadito come la Russia sia parte in causa nella guerra nel Sud-Est ucraino e le sanzioni continueranno ad essere mantenute sino a che Mosca non soddisferà completamente gli impegni sottoscritti a Minsk, il Cremlino ha ribadito che è Kiev che non fa abbastanza per la de-escalation. Il muro contro muro, insomma, continua. Anzi, si aggiungono nuovi mattoni, come prova oggi la dura reazione della Russia alla notizia dell’arrivo di paracadutisti Usa in Ucraina per addestrare la Guardia nazionale: c’è il rischio di “destabilizzare seriamente” la situazione nel Paese, ha commentato il portavoce del Cremlino Dmitri Peskov, citato dall’agenzia Ria. Circa 300 uomini della 173esima brigata aviotrasportata Usa sono arrivati a Yavoriv, nei pressi della frontiera polacca, per addestrare 900 uomini della Guardia nazionale, milizia del ministero degli Interni ucraino composta da volontari che hanno partecipato ai gruppi di autodifesa di Maidan, movimento di protesta europeista che face cadere il presidente Viktor Yanukovich a febbraio 2014.

In generale, il rischio che le scaramucce e la fortissima tensione nel Donbass si trasformino di nuovo in una guerra aperta è dietro l’angolo. E le ragioni sono le stesse che hanno impedito l’implementazione degli accordi di Ginevra lo scorso anno. Poco precisa nei punti concreti e nella tempistica, l’intesa del 17 aprile 2014 doveva dare inizio a un “un dialogo nazionale a vasto raggio, allargato a tutte le regioni dell’Ucraina e ai vari distretti elettorali” che né i separatisti nel Donbass, né il governo di Kiev hanno sviluppato, rimanendo ancorati su posizioni opposte. La questione di fondo, poi ribadita ovviamente anche negli accordi di Minsk I e II, consiste sostanzialmente sullo status futuro delle regioni indipendentiste, ma non è stata oggetto sino ad oggi di trattative comuni. Ognuno degli attori in causa ha voluto seguire la propria strada lasciando il nodo ancora insoluto. Se a Ginevra i separatisti non erano rappresentati, successivamente sono stati invece cooptati nel processo di pacificazione attraverso il gruppo trilaterale coordinato dall’Osce, tuttavia con Kiev prosegue lo stallo. Il dialogo tra centro e periferia ribelle non esiste e i tentativi di mediazione trasversale, tra le forze parlamentari d’opposizione più radicate nel Sud-Est e il nuovo blocco di potere che ruota al momento intorno a presidente Petro Poroshenko e al variegato governo guidato da Arseni Yatseniuk sono finiti nel vuoto.

Se è vero che il conflitto nel Donbass ha concentrato attenzione e risorse su entrambi i fronti, nella capitale la Rada in fatto di riforme costituzionali promesse nero su bianco dodici mesi fa ha prodotto ben poco. Il fatto che Kiev e separatisti non trovino o non vogliano trovare vie concrete per una soluzione concordata, aumenta il rischio di destabilizzazione anche al di fuori delle zone di guerra. Da un lato all’immobilità politica del governo si aggiungono i conflitti politici interni e le faide oligarchiche. Dall’altro i filorussi minacciano di estendere il conflitto, partendo da Mariupol, sempre nella regione di Donetsk. Inoltre negli oblast vicini, a partire da quello di Kharkiv a Nord per arrivare a quello meridionale di Odessa, l’atmosfera è surriscaldata dai sempre più frequenti episodi di irredentismo più o meno pilotato, tensioni tra le élite locali e guerre nel sottobosco criminale. Il fronte sudoccidentale è anche complicato dalla vicinanza geografica con la Moldavia, anch’essa sottoposta a pressioni tra forze filooccidentali e filorusse. La cornice internazionale complessiva non dà spazio a troppo ottimismo e se rispetto agli accordi di Ginevra di un anno fa gli Stati Uniti hanno ceduto lo scettro della negoziazione ufficiale a Unione Europea e Germania, Washington continua a mantenere un ruolo attivo sulla scacchiera ucraina e l’invio di addestratori e consiglieri a fianco delle truppe e del governo di Kiev è il segnale che la partita si gioca sempre su un tavolo geopolitico allargato.

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