Politica

Ucraina, da Ramstein nuovi aiuti ma nessuna decisione su Leopard

Trasporto truppe corazzate, sistemi di difesa antiaerea, artiglieria e persino – se richiesto – alcuni cacciabombardieri F-16: i Ministri della Difesa del gruppo di contatto riuniti a Ramstein hanno ribadito il sostegno militare all’Ucraina senza però arrivare ad una decisione sull’arma che Kiev desidera di più, i moderni carri armati da combattimento occidentali. Un piatto che sul menù degli armamenti dipende quasi esclusivamente dalla cucina tedesca, vista l’esigua quantità di Challenger 2 impegnata dalla Gran Bretagna e il no di Washington all’invio dei propri Abrams, ritenuti inadatti all’uso nel teatro ucraino.  I Leopard 2 tedeschi sono invece tutt’altra questione, innanzitutto per il loro numero: ne sono stati fabbricati oltre 3.600, di cui moltissimi ancora in servizio negli eserciti di mezza Europa e altri ritirati – ma non rottamati – dopo il 1989 ancora nella disponibilità dei singoli comandi nazionali.

Lo scoglio è essenzialmente politico: per evitare qualsiasi rischio di escalation Berlino vuole assolutamente condizionare il proprio impegno ad una decisione collettiva e non unilaterale e questo vale non solo per i Leopard della Bundeswehr ma anche per quelli in servizio presso altri eserciti e per i quali vale il vincolo del divieto di riesportazione salvo autorizzazione tedesca. Un vincolo che in teoria i Paesi interessati – come ad esempio la Polonia – potrebbero scegliere di ignorare volutamente ma che potrebbe innescare una querelle legale all’interno della stessa Nato che nessuno al momento auspica. Eppure il tempo stringe, come ha ricordato il ministro della Difesa italiano, Guido Crosetto, il quale ha sottolineato come nel prossimo futuro la guerra sia destinata ad inasprirsi ulteriormente, e questa volta non o non solo con delle offensive missilistiche ma con operazioni terrestri tradizionali in cui le forze corazzate avrebbero la massima importanza.

Gli Stati Uniti da parte loro non hanno esplicitato alcuna pressione su Berlino – che insiste invece su un coordinamento con Washington – accontendandosi di sottolineare per bocca del Segretario alla Difesa Lloyd Austin che il pacchetto fin qui approvato (compresi i trasporto truppe corazzati americani e tedeschi) – dimostra la bontà e la solidità degli aiuti e l’impegno degli alleati nei confronti di Kiev. L’opinione degli analisti tuttavia è che se un centinaio di moderni carri armati occidentali potrebbe dare all’Ucraina una certa superiorità sul campo – quanto meno permettendole di sostenere nel tempo le proprie controffensive terrestri – difficilmente porteranno ad un ritiro russo dai territori occupati – un’ipotesi che il capo degli Stati maggiori riuniti americano, generale Mark Milley, ha definito “molto molto difficile”.

Di qui la riluttanza sia di Washington che di Berlino a impegnare quello che rimane dopo tutto una parte del proprio armamento di prima linea rischiando un’ulteriore escalation con Mosca per un risultato verosimilmente non decisivo; sull’altro piatto della bilancia vi è una stabilizzazione del fronte che permetterebbe di rilanciare al momento opportuno un’iniziativa diplomatica che al momento rimane ferma al palo. Nonostante le pressioni di alcuni Paesi alleati – e ovviamente di Kiev – la questione dei Leopard viene quindi rimandata forse al vertice ministeriale della Nato di febbraio, in attesa anche di vedere gli sviluppi sul terreno; nel frattempo il Segretario generale dell’Alleanza Jens Stoltenberg ha invitato i Paesi membri a investire per ricostituire al più presto i propri arsenali. Un appello colto al volo dalla Francia: il presidente Emmanuel Macron ha annunciato oggi il nuovo piano di investimenti per le forze armate francesi, che ammontano a ben 413 miliardi di euro nell’arco dei prossimi sette anni, ivi compreso un aumento della deterrenza nucleare.

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