La speranza che il patriarca di Mosca e di tutte le Russie si sganciasse dal presidente Vladimir Putin, fin da subito flebile, è sfumata domenica, e sempre domenica il papa ha annunciato a sorpresa che avrebbe inviato due cardinali a portare la sua vicinanza agli ucraini sotto le bombe. La tragedia della guerra si intreccia, in una terra dove politica e religione si intrecciano inestricabilmente, con un lavorio diplomatico che vede gli uomini di Chiesa in prima linea. Le linee di faglia ecclesiale non si sovrappongono a quelle statali, ma l’alleanza tra trono e altare siglato da Putin con Kirill ha prevalso. Diversi esponenti di spicco delle diverse Chiese, nei giorni scorsi, si sono rivolti direttamente a Kirill affinché chiedesse a Putin di porre fine alla guerra. ‘I leader religiosi e politici di tutto il mondo, così come i fedeli di diverse Chiese, aspettano che tu riconosca l’aggressione, faccia appello alla leadership politica del tuo Paese per porre fine alla guerra e tornare sulla via del dialogo diplomatico e dell’ordine internazionale’, ha scritto Conferenza delle Chiese europee (Cec). ‘Imploro il Patriarca di Mosca di esercitare la sua influenza sul presidente affinché la guerra si fermi e le armi siano deposte’, ha detto il cardinale Reinhard Marx di Monaco di Baviera.
‘Per il Patriarca russo Kirill si pone una sfida enorme e definitiva: seguire il governo o ascoltare il suo metropolita di Kiev e i fedeli ucraini in comunione con lui che gli chiedono di levare la sua voce? In questione il rapporto Chiesa e potere e il nazionalismo religioso’, ha analizzato il gesuita Antonio Spadaro, direttore della Civiltà cattolica. E monsignor Vincenzo Paglia, a lungo consigliere spirituale della comuità di Sant’Egidio: ‘Sarebbe necessaria una voce più robusta di condanna della guerra da parte del patriarcato di Kirill’. Se Putin non ascolta gli appelli che giungono da fuori – era l’idea condivisa – potrebbe almeno ascoltare il suo riferimento spirituale. Ma il patriarca Kirill, ‘personalmente contrario all’invasione dell’Ucraina’, è però ‘l’ispiratore di Putin’, e ora non può sconfessarlo, ha spiegato ad askanews don Stefano Caprio, professore al Pontificio Istituto Orientale. ‘E’ Kirill che ha suggerito a Putin una concezione della Russia come paese chiamato a difendere la vera fede, l’ortodossia, nel mondo secolarizzato, il richiamo alla terra comune russa, al battesimo comune con gli ucraini e con tutto il mondo russo che sta al di fuori dei confini russi, in particolare quella che era l’Unione sovietica’. E’ il contenuto ideale che a Putin mancava. Il patriarca di Mosca e di tutte le Russie rimane fedele a questo legame anche ora che rischia molto: non solo i fedeli ucraini legati al patriarca Bartolomeo di Costantinopoli, anche i membri della Chiesa ortodossa fedele a Mosca lo hanno criticato.
Non capiscono la guerra di Putin, anche loro sono sotto le bombe. Hanno smesso di commemorare il suo nome durante le funzioni, il Santo Sinodo ha chiesto che non si versi altro ‘sangue fratricida’, il metropolita locale, Onufryi, ha fatto appello direttamente a Putin: ‘Vladimir Vladimirovich, fai di tutto per porre fine alla guerra sul suolo ucraino!’. Ma niente. ‘Nel mondo ortodosso’, spiega don Caprio, ‘su 15 Chiese autocefale la Chiesa russa ha il 60/70 per cento dei fedeli, se perdesse l’Ucraina diventerebbe molto meno della metà di quel che è adesso, e con ciò perderebbe anche il primato universale nell’ortodossia’. Una minaccia esistenziale che non è bastata a far cambiare idea a Kirill. La conferma è arrivata domenica. Nei giorni scorsi Kirill aveva fatto appelli sporadici, e dal senso non univoco. Con una mano benediva i soldati russi in partenza per il fronte, dall’altra faceva appello al raggiungimento della pace il prima possibile, senza colpire i civili. Nel corso di un sermone che ha pronunciato in occasione dell’avvio, ieri, ‘domenica del perdono’, ultimo giorno prima dell’avvio, nel calendario ortodosso, della Quaresima, ha esposto una sua valutazione ‘spirituale’ dell’attualità. Ed è una benedizione, argomentata, della guerra di Putin. Oggi, ha detto Kirill, c’è una ‘vera guerra’ nel Donbass, nell’Ucraina orientale, dal significato ‘metafisico’, ed è la resistenza di tanti fedeli ai ‘valori’ occidentali ‘che oggi vengono offerti da chi rivendica il potere mondiale’, la cui cartina di tornasole è il ‘gay pride’, che ‘giustifica’ il ‘peccato’ ‘condannato dalla Bibbia’.
Il leader ortodosso ha sì fatto appello ‘affinché la pace giunga al più presto, il sangue dei nostri fratelli e sorelle si fermi’ in Ucraina, ma ha altresì pregato perché sia ‘preservata la fede ortodossa’. Ed ha contrapposto chi resiste ai valori occidentali e secolarizzati, a costo di subire ‘la repressione e lo sterminio’, da una parte, e chi, ‘scegliendo la via di minor resistenza in questa guerra’ spirituale segue ‘la strada che mostrano loro i poteri costituiti’. Posizioni non nuove, per Kirill, che non era però scontato esponesse in questo frangente a puntellare un intervento armato. Chiudendo così ogni spiraglio alla mediazione per il cessate-il-fuoco. Parole che, peraltro, riecheggiano in una dichiarazione, rilanciata dai blog reazionari, di monsignor Carlo Maria Viganò, un ex nunzio apostolico negli Stati Uniti, oggi in pensione e alla macchia, noto alle cronache per le sue intemerate contro l’omosessualità, nonché contro il Concilio vaticano II e papa Francesco, grande estimatore di Donald Trump e fautore della battaglia ‘no vax’. Che, ora, fa appello alla ‘nascita di un’alleanza anti-globalista che unisca i popoli del mondo in opposizione contro la tirannia di un nuovo ordine mondiale’. La stessa domenica in cui Kirill ha rotto gli indugi, schierandosi con Putin, papa Francesco ha modificato, forse non casulamente, l’accento delle sue parole. Francesco è fin dal’inizio contrario alla ‘follia della guerra’, ma aveva evitato di contrapporsi alla retorica putiniana. Non per ambiguità, ma per lasciare una porta aperta al negoziato diplomatico. Ora la porta, almeno da parte vaticana, resta aperta, ma all’Angelus Francesco ha voluto porre qualche paletto.
‘In Ucraina scorrono fiumi di sangue e di lacrime. Non si tratta solo – ha voluto puntualizzare Bergoglio, contestando le parole ufficiali del Governo russo – di un`operazione militare, ma di guerra, che semina morte, distruzione e miseria. Le vittime sono sempre più numerose, così come le persone in fuga, specialmente mamme e bambini. In quel Paese martoriato cresce drammaticamente di ora in ora la necessità di assistenza umanitaria’. Da qui l’appello ‘accorato’ perché ‘si assicurino davvero i corridoi umanitari, e sia garantito e facilitato l`accesso degli aiuti alle zone assediate, per offrire il vitale soccorso ai nostri fratelli e sorelle oppressi dalle bombe e dalla paura. Ringrazio – ha detto ancora Francesco – tutti coloro che stanno accogliendo i profughi. Soprattutto imploro che cessino gli attacchi armati e prevalga il negoziato – e prevalga pure il buon senso -. E si torni a rispettare il diritto internazionale!’. Il papa, infine, ha preannunciato la partenza in Ucraina di due cardinali, ‘per servire il popolo, per aiutare’: il cardinale Konrad Krajewski, elemosiniere pontificio, ‘per portare gli aiuti ai bisognosi’, e il cardinale Michale Czerny, prefetto ad interim del Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale: ‘Questa presenza dei due Cardinali lì è la presenza non solo del Papa, ma di tutto il popolo cristiano che vuole avvicinarsi e dire: ‘La guerra è una pazzia! Fermatevi, per favore! Guardate questa crudeltà!”.
Krajewski, polacco, si trova a Lublino da dove, ha informato la conferenza episcopale polacca, tenterà di raggiungere l’Ucraina. Czerny, nato in cecoslovacchia e naturalizzato canadese, ha reso noto la Santa Sede, arriverà in Ungheria martedì per visitare alcuni centri di accoglienza per i migranti provenienti dall’Ucraina e sollevare, tra l’altro, la preoccupazione per le discriminazioni di cui sono vittima in questi giorni i rifugiati africani e asiatici, che non riescono a lasciare l’Ucraina. Una diplomazia umanitaria, una presenza fisica, che si accompagna alla attività diplomatica vaticana. ‘L’intervento della Santa Sede’, è tornato a spiegare, ai microfoni di Tv2000, il cardinale Segretario di Stato Pietro Parolin, ‘si colloca a più livelli. Il livello religioso che è quello di invitare a una insistente preghiera affinché Dio doni la pace a quella martoriata terra e coinvolgere i credenti a questa preghiera corale. Poi c’è l’aspetto umanitario soprattutto attraverso le Caritas e le Diocesi che sono molto impegnate nell’accogliere i profughi che vengono dall’Ucraina. E poi c’è la disponibilità di iniziative sul piano diplomatico. Abbiamo offerto, come ha detto il Papa, la disponibilità della Santa Sede di aiutare in tutti i modi per poter fermare le armi e la violenza e negoziare una soluzione. E ci sono vari tentativi che si stanno svolgendo in giro per il mondo’. Nella determinazione a porre fine alla guerra. E – titolo dell’Osservatore Romano – domandandosi: ‘Per quanto ancora?’. askanews