Nessuno sembra volere la guerra in Ucraina, almeno a parole. Dalla conferenza stampa congiunta a Mosca tra Vladimir Putin e il cancelliere tedesco Olaf Scholz emergono chiari segnali di distensione. L’avvio del ritiro delle unità russe ammassate al confine ucraino, annunciato poco prima dell’incontro tra i due leader, rappresenta un “buon segno”, ha dichiarato il capo del governo tedesco. Un primo segnale di distensione o una semplice mossa interlocutoria per confondere (ulteriormente) le acque: il parziale ritiro di alcune unità russe dal confine ucraino non cambia sostanzialmente lo scenario sul terreno, pur se Scholz – protagonista di giornata del pellegrinaggio diplomatico a Mosca – lo ha definito “un passo positivo”. La stessa Russia ha tenuto a sottolineare che il ritiro era programmato: un normale ridispiegamento delle unità che hanno terminato le esercitazioni in cui erano impegnate; sul tavolo del Cremlino la questione scottante rimane la presenza Nato e – come ha rimarcato la portavoce del Ministero degli Esteri, Maria Zakharova – l’invasione non è che “propaganda” occidentale, peraltro “fallita”.
E se – racconta il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov – Putin ormai ci scherza su chiedendo se per caso abbiano dato anche l’ora dell’attacco, qualche ora dopo il tabloid the Sun – citando fonti dell’intelligence statunitense – gli ha fornito la risposta: le due di questa notte, ora italiana. Un buonumore non certo condiviso da Kiev, che pur accogliendo positivamente l’iniziativa russa considera un “ritiro” solo come il completo arretramento delle forze di Mosca: “Quando lo vedremo, ci crederemo”, ha tagliato corto il ministro degli Esteri ucraino, Dmytro Kuleba. Non senza ragione: sul terreno rimangono oltre 170mila effettivi russi, senza contare le milizie separatiste del Donbass – quasi il 60% delle capacità belliche russe.
Proprio sulla questione del Donbass Mosca ha impresso un’altra accelerazione politica: la Duma ha chiesto formalmente al governo di riconoscere le due autoproclamate Repubbliche di Donetsk e Lugansk, un’iniziativa che potrebbe aggiungere altra benzina sul fuoco e che per l’occidente costituirebbe una chiara violazione degli accordi di Minsk. La situazione è stata riassunta dal premier britannico Boris Johnson che ha parlato di “segnali discordanti” da parte russa: alla disponibilità al dialogo si contrappone un dispiegamento militare che sembra non lasciare troppi dubbi sulle intenzioni di Mosca; anche il Segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, ha accolto positivamente gli spiragli diplomatici ma ha ribadito come il ritiro non rappresenti affatto una de-escalation.
Che si tratti o meno un reale tentativo di distensione, la notizia del parziale ritiro russo ha prodotto almeno un reale effetto positivo: un calo di quasi il 10% del prezzo del gas naturale. Intanto, il tabloid britannico The Sun, che cita fonti dell’intelligence statunitense, ha scritto che l’invasione dell’Ucraina scatterà all’una di questa notte (orario britannico, le 2 in Italia) con un lancio di missili cui seguirà l’avanzata di 200mila effettivi. Nonostante il ritiro di alcune unità dal confine ucraino, la presenza militare russa nella zona è di circa 130mila militari, a cui si aggiungono altri 40mila effettivi in Bielorussia e 30mila miliziani separatisti nel Donbass.