Potrebbe essere, almeno nelle speranze della Commissione europea, la quadratura del cerchio: concedere alla Cina, de facto, lo statuto di “economia di mercato”, come Pechino pretende, ma mantenendo comunque una protezione anti-dumping per l’industria europea equivalente a quella attuale, giustificata proprio dal non rispetto delle regole del mercato e dalla presenza pervasiva dello Stato e dei sussidi pubblici nell’economia cinese. E’ la proposta che i commissari dell’Esecutivo comunitario hanno scelto nella loro riunione di mercoledì scorso a Bruxelles: cambiare le carte in tavola, rimettendo in discussione lo stesso concetto di “economia di mercato”. Le altre due opzioni in discussione erano, da una parte, la conferma della situazione attuale, con il rischio di aumentare le tensioni e arrivare alle rappresaglie con uno dei partner commerciali più importanti del mondo; dall’altra, la resa quasi senza condizioni alle richieste cinesi. La Cina accusa l’Ue di discriminarla con il sistema attuale, che prevede due diversi modi di calcolare le misure di protezione commerciale da prendere nei confronti degli esportatori che praticano il dumping: le misure sono meno dure per i paesi che hanno lo status di economia di mercato, rispetto ai paesi che non ce l’hanno.
Questo sistema duale è accettato dall’Organizzazione mondiale del commercio (Wto), ma deve essere sottoposto a revisione entro quest’anno per la Cina. Lo prevedeva, con la scadenza a 15 anni, il protocollo di ingresso di Pechino nella Wto. “Durante l’ultimo vertice bilaterale, la Cina non ci ha chiesto di avere lo status dell’economia di mercato, ma di essere trattata come tutti gli altri paesi, rispettando i nostri obblighi giuridici”, ha ricordato la Commissaria Ue al Commercio, Cecilia Malmstroem. La proposta della Commissione, che sarà presentata all’Europarlamento e al Consiglio Ue dopo l’estate, prevede che sia eliminata la distinzione fra economie di mercato e non di mercato, e che sia rivista la metodologia per il calcolo delle misure anti-dumping, basandola sui prezzi internazionali dei prodotti esportati, e tenendo molto più in conto eventuali sussidi pubblici alla produzione. In pratica, secondo quanto hanno affermato la commissaria Malmostroem e il vicepresidente della Commissione per Crescita, Investimenti e Competitività, Jyrki Katainen, il livello di protezione dal dumping e dalle altre pratiche commerciali scorrette che sarà garantito all’industria europea sarà equivalente a quello di cui gode attualmente.
Ma, d’altra parte, questa protezione, nel pieno rispetto degli obblighi giuridici della Wto, sarà basata su criteri oggettivi e validi per tutti in modo “neutrale”, ovvero senza prendere di mira a priori e quindi discriminare (secondo l’accusa di Pechino) un particolare gruppo di paesi (quelli senza lo status di economia di mercato, e tra questi la Cina). Parafrasando il Gattopardo di Tommasi di Lampedusa (come ha fatto una fonte della Commissione) si può dire insomma che “cambia tutto per non cambiare nulla”. “La Cina non è un’economia di mercato, non garantisce questo status”, ha ammesso Malmstroem (foto). Ma, ha aggiunto Katainen, “bisogna dimenticare l’approccio sull’economia di mercato, non esiste più”. Proprio in questi mesi, la Cina è sotto accusa per la sovrapproduzione di acciaio a basso prezzo, perché sussidiato dallo Stato, con cui sta invadendo il mercato mondiale, e mettendo in difficoltà in particolare la siderurgia europea. La Commissione europea ha cercato allora di legare i due temi con un negoziato parallelo: promettendo a Pechino di farla uscire dalla stigmatizzante lista delle economie non di mercato (è anche, come sempre con i cinesi, una questione di immagine), spera di riuscire a ottenere, in cambio, un tavolo negoziale in cui cercare di ottenere impegni per limitare la sovraccapacità cinese nell’acciaio (ed eventualmente anche in altri settori).
Al vertice Cina-Ue del 19 luglio scorso, a Pechino, il presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker (molto sensibile, da buon lussemburghese, ai problemi della siderurgia) ha insistito e ottenuto proprio questo: lo creazione di una “Piattaforma bilaterale Ue-Cina sull’acciaio” per monitorare la sovrapproduzione. La Commissione mira anche a rilanciare, con questi cambiamenti, la sua proposta sul rafforzamento degli strumenti di difesa commerciale, che un nutrito gruppo di Stati membri “liberisti” (Regno Unito, Austria, Svezia, Finlandia, Danimarca, Estonia e Lettonia, Repubblica ceca, Irlanda, Olanda, Malta, Cipro e Slovenia) sta bloccando da tre anni. L’Esecutivo comunitario vorrebbe soprattutto eliminare, almeno in certi casi (tra cui proprio la sovraccapacità), la “lesser duty rule”, che gli stessi Stati liberisti avevano imposto fin dall’inizio: in pratica, la tariffa anti-dumping che si applica è pari all’ammontare minore fra il calcolo del danno economico causato all’industria europea e il margine di dumping. In pratica, viene premiato chi riesce a combinare un margine di dumping maggiore del danno provocato all’industria.
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