Il M5S ha aperto a tutte le forze politiche. Quando si ottiene quasi il 33% dei voti è inevitabile puntare al governo. Ma gli altri partiti non ci stanno. Né il Pd (benché negli ultimi anni si sia alleato con Berlusconi, Alfano e company), che non ha digerito il trattamento ricevuto dai grillini nella scorsa legislatura. Né Forza Italia, secondo cui i pentastellati sono i nuovi comunisti che il Cavaliere ha evocato negli ultimi venti anni. Per la Lega il discorso è più politico: conviene a Matteo Salvini, che è riuscito a imporre la sua leadership nel centrodestra, sprecare l’occasione per fare l’azionista di minoranza di un governo guidato da Luigi Di Maio? No. Dunque resta soltanto la possibilità di un governo istituzionale che possa restare in carica sei mesi o poco più per approvare una nuova legge elettorale (anche se l’ultima l’hanno fatta pochi mesi fa Pd, Fi e Lega: potevano farla meglio invece di dover costringere il nuovo Parlamento a correggerla!) e andare al voto subito dopo. Ad oggi, a due settimane dalle consultazioni al Quirinale, questo sembra l’unico esito possibile. Ma io credo che alla fine un governo “stabile” si farà (anche se il M5S esclude, giustamente, di far parte di un esecutivo istituzionale). Quando il presidente Mattarella ricorrerà, giusto ipoteticamente, all’espressione più drammatica per i parlamentari, cioè “VOTO ANTICIPATO”, tanti deputati e senatori potrebbero riacquistare improvvisamente il senso di responsabilità. Insomma, potrebbe prevalere il “tengofamiglia” (e dunque i privilegi del Palazzo). I più furbi sembreranno anche convinti e diranno: “Se torniamo alle elezioni stravinceranno i 5 Stelle. Meglio evitarlo, trovando un’intesa o per farli governare o per isolarli all’opposizione per altri 5 anni”. Non sarebbe la prima volta.