Abdullah, 22 anni, ha perso un braccio combattendo a Mosul contro l’Isis. Per lui, però, c’è una nuova speranza. In un ospedale vicino a Amman, in Giordania, Medici senza frontiere sta sperimentando protesi ottenute con stampanti 3D. “Non è facile – racconta il 22enne che ha anche l’altro braccio ferito – mio fratello è venuto qui con me dall’Iraq, mi aiuta a mangiare, bere, a lavarmi, a cambiarmi le medicazioni. Fa tutto per me”. L’arto viene fotografato, misurato, poi scannerizzato. Nell’arco di 24 ore la stampante disegna e riproduce la protesi adatta a lui. Il progetto è partito a giugno 2017 con il supporto di medici, fisici e ingegneri. Obiettivo: produrre protesi nel modo più rapido ed economico possibile. “Anche il tempo necessario a disegnarle e realizzarle è minore – spiega Safa Herfat, ingegnere che collabora con Medici senza frontiere – e i pazienti a quanto vediamo si trovano meglio con braccia realizzate con stampanti 3D”. Al progetto ha partecipato anche la piccola Aseel, 7 anni, rifugiata palestinese nata con una deformazione. Una protesi normale per lei costerebbe circa 2000 euro. Con questa tecnologia ne bastano circa 40. “Le hanno fatto questa mano – dice suo padre – non dovrà più vergognarsi, la può indossare e fare tutto, può anche mettersela da sola senza l’aiuto di nessuno”. E Ibrahim, rifugiato siriano che perse il braccio quando la sua casa venne bombordata nel 2013, grazie alla protesi è tornato a guidare. Al progetto al momento partecipano solo 15 pazienti, alcuni vittime di guerre, altri nati con delle malformazioni. Ci sono diverse organizzazioni in tutto il mondo che hanno avviato studi simili, ma questo è il primo in Medio Oriente e, visti i conflitti e le vittime in questa area del mondo, potrebbe rivelarsi di grande aiuto.