La spaccatura nel partito repubblicano statunitense, da ieri, è ormai evidente: lo speaker della Camera, Paul Ryan, ha detto che non difenderà più il candidato alle presidenziali, Donald Trump, che non farà più campagna elettorale per lui e che gli altri deputati sono liberi di agire come preferiscono. In una conference call, Ryan ha spiegato ai colleghi che si dedicherà a difendere la maggioranza repubblicana in Congresso, secondo quanto riferito da alcune fonti del New York Times. Un’ampia parte dei repubblicani, che non ha mai accettato la candidatura di un personaggio atipico come Trump, accusato di non essere nemmeno conservatore, considera ormai persa – e se lo augura – la corsa alla Casa Bianca. Il timore, però, è che il partito repubblicano possa perdere la maggioranza alla Camera e in Senato, lasciando via libera a Hillary Clinton e ai democratici, dopo anni in cui il Grand Old Party è riuscito a bloccare i lavori del Congresso per ostacolare la presidenza di Barack Obama. Al momento, i repubblicani occupano 247 dei 435 seggi alla Camera, che sarà rinnovata completamente, visto che il mandato dura due anni; in Senato, i repubblicani occupano 54 dei 100 seggi e, dato che il mandato dura sei anni e si viene eletti in momenti diversi, solo un terzo dei senatori sarà sostituito dopo le elezioni dell’8 novembre.
Nel giro di un’ora, però, una serie di deputati conservatori ha chiesto ai colleghi di non abbandonare Trump, accusando Ryan di essersi arreso prematuramente per le presidenziali. Trump, su Twitter, ha invitato lo speaker della Camera a occuparsi di problemi come “il bilancio, l’immigrazione e l’occupazione”, invece di “sprecare tempo combattendo il candidato repubblicano”. Di fronte all’isterismo mostrato da alcuni colleghi, Ryan ha poi chiarito che non ha ritirato il proprio endorsement a Trump, ma che farà quello che ritiene nell’interesse della Camera, ovvero sostenere i candidati nei distretti elettorali. Per cinque mesi, Ryan e Trump hanno alternato frizioni e corteggiamenti, riuscendo poi a forgiare un rapporto di lavoro non facile crollato a quattro settimane dal voto. Le conseguenze di questo scontro pubblico potrebbero essere devastanti per il partito repubblicano. La situazione, comunque, era già molto complessa prima delle dichiarazioni di Ryan, visto che, dall’ultimo sondaggio di Nbc e Wall Street Journal, Trump emergeva con un ampio distacco da Clinton e un consenso inferiore al 40 per cento. Nonostante il tentativo di Reince Priebus, che guida il Comitato nazionale repubblicano, ovvero l’organo di comando del partito, di mostrare che il Grand Old Party agisce “in totale coordinamento” con la campagna di Trump e che verserà “molti soldi” nella corsa presidenziale perché “niente è cambiato nel sostegno al nostro candidato”, appare ormai chiaro che ognuno pensa per sé. “È come in un incendio scoppiato in un cinema – il paragone di Steven Law, ex collaboratore del repubblicano Mitch McConnell, leader della maggioranza in Senato, fatto al New York Times – quando le persone cominciano a correre il più velocemente possibile verso uscite diverse”. Intanto, dopo l’ultimo dibattito televisivo la candidata democratica Hillary Clinton stacca il suo avversario repubblicano Donald Trump di 9 punti percentuali nelle proiezioni dei risultati della corsa per la Casa Bianca. Lo rivela un sondaggio svolto da Nbc insieme al Wall Street Journal. Di seguito i numeri: l’ex Segretario di stato è data al 46%, contro il 37% del miliardario; il candidato del Partito libertario, Gary Johnson è ancora all’8%, mentre à al 2% il verde, Jill Stein.