“Non voglio vincere di misura, voglio vincere molto largamente”. Lo ha confidato Robby Mook, il direttore della campagna elettorale di Hillary Clinton, circa un mese fa. Le ultime minacce di Donald Trump, che potrebbe non riconoscere il successo della rivale alle elezioni presidenziali statunitensi dell’8 novembre, se non dovesse essere “chiaro”, consegnano alla candidata del partito democratico una ragione in più per cercare di ottenere un successo ampio. La vera ‘supervittoria’, però, sarebbe quella di riuscire a strappare il Congresso dalle mani dei repubblicani. Clinton, confortata dai sondaggi delle ultime settimane, non solo sta puntando a conquistare molti Stati in bilico, ma ha deciso di aumentare significativamente i suoi sforzi in alcune roccaforti repubblicane, come l’Arizona, visto che la “retorica odiosa di Trump ha aperto nuove porte al partito democratico”; porte che il partito sta tenendo aperte grazie a una massiccia quantità di pubblicità, per cui sono stati investiti due milioni di dollari, e alla campagna elettorale di Clinton che in Arizona ha portato la first lady, Michelle Obama, l’ex rivale alle primarie, Bernie Sanders, e la figlia Chelsea.
A favorire un cambio di rotta in Arizona, dove i repubblicani hanno vinto 15 delle ultime 16 presidenziali, è stata anche la crescita della popolazione latinoamericana, che rappresenta circa il 30 percento del totale. Secondo le proiezioni di un sondaggio condotto in 15 Stati ‘in bilico’ da SurveyMonkey e dal Washington Post, la candidata democratica riuscirà a conquistare più di 300 ‘grandi elettori’, quando ne bastano 270 per diventare presidente degli Stati Uniti. Per Steve Schmidt, ex stratega di George W. Bush e John McCain durante le loro campagne presidenziali, oggi molto critico del candidato repubblicano, “questa campagna è finita. La domanda è: quanto si avvicinerà Clinton ai 400 voti elettorali? È sopra i 350 e sta andando verso i 400 – ha detto al Washington Post – grazie a Stati come Georgia, Texas e Arizona”. L’impegno dei democratici negli Stati in bilico e anche in quelli tradizionalmente repubblicani si spiega, però, soprattutto con la volontà di provare a riconquistare la maggioranza in Congresso. In Indiana e Missouri, due Stati in mano ai repubblicani, sarò investito un milione di dollari dalla campagna elettorale di Clinton per incoraggiare la partecipazione alle elezioni di senatori e governatore; ulteriori sei milioni di dollari saranno invece investiti per incoraggiare la partecipazione in Stati fondamentali per la vittoria come Ohio, Florida, Pennsylvania, Nevada, North Carolina, Iowa e New Hampshire.
Lo strappo definitivo che si è consumato tra il candidato repubblicano e una parte del partito, guidata dal presidente della Camera, Paul Ryan, potrebbe far perdere seggi al partito alla Camera e in Senato, dove il Grand Old Party è riuscito a ostacolare le riforme sostenute dall’amministrazione Obama. Se anche Capitol Hill dovesse finire in mano ai democratici, per i repubblicani potrebbe aprirsi il periodo più buio degli ultimi decenni, dopo mesi in cui la candidatura di Trump ha lentamente distrutto, dall’interno, il partito. Qual è la situazione in Congresso? L’8 novembre si voterà non solo per il 45esimo presidente degli Stati Uniti, ma anche per rinnovare completamente la Camera e un terzo del Senato. La situazione più chiara è quella della Camera, dove i repubblicani hanno la maggioranza dal 5 gennaio 2011, dopo le elezioni di metà mandato del 2010; attualmente, il Grand Old Party occupa 247 dei 435 seggi. Secondo le proiezioni di Real Clear Politics, i repubblicani non dovrebbero avere problemi a mantenere la maggioranza, ma potrebbero perdere alcuni seggi: al momento, il sito assegna 226 seggi ai repubblicani e 187 seggi ai democratici, lasciandone 22 in bilico. Il mandato alla Camera dura due anni e la ripartizione dei seggi tra gli Stati è effettuata proporzionalmente in base alla popolazione: la California, per esempio, ne occupa 53; Alaska, Delaware, Montana, North Dakota, South Dakota, Vermont e Wyoming solo uno.
I democratici, però, potrebbero riconquistare almeno la maggioranza in Senato, tornato due anni fa sotto il controllo dei repubblicani; attualmente, il Grand Old Party occupa 54 dei 100 seggi. Real Clear Politics, al momento, fotografa una situazione di leggero vantaggio per i democratici, con 47 seggi a 46 e 7 in bilico. Il mandato in Senato dura sei anni e, per questo, ogni due anni si rinnova solo un terzo dei senatori: quest’anno in gioco ci sono 24 seggi occupati dai repubblicani e dieci dai democratici; in Senato, siedono due rappresentanti per ogni Stato. Per quanto riguarda le sette sfide in bilico, in quattro casi il candidato repubblicano è in vantaggio: tra questi, spicca Marco Rubio, l’ex candidato alle primarie repubblicane che cerca la rielezione in Florida. Una delle sfide che preoccupa di più il Grand Old Party è quella in New Hampshire, dove la senatrice Kelly Ayotte è indietro di 2 punti nei sondaggi contro la democratica Maggie Hassan. Una settimana fa, i due partiti erano 46 a 46 e, negli otto Stati in bilico, c’erano i repubblicani in vantaggio in sei sfide. In sette giorni, quindi, la situazione è lievemente peggiorata per i repubblicani e, se questo andamento dovesse essere confermato nei prossimi giorni, i democratici avrebbero molte possibilità di riconquistare il Senato.