Le società di Donald Trump hanno almeno 650 milioni di dollari di debiti, oltre il doppio di quanto il candidato ha dichiarato nei documenti finanziari presentati alla commissione elettorale. E’ quanto rivela un’inchiesta del New York Times che va a confutare l’immagine di uomo d’affari di successo che Trump dall’inizio della campagna presenta come una delle sue più importanti credenziali. Il giornale ricorda come il candidato repubblicano si sia finora opposto a rendere pubbliche le sue dichiarazioni dei redditi, contravvenendo ad una tradizione rispettata negli ultimi decenni da tutti i candidati presenziali. Come non ha accettato nessuna valutazione indipendente dei suoi beni. Questo perché, argomenta appunto l’inchiesta, lo stato di salute del suo impero appare fondato “su un labirinto di debiti e legami opachi” – questo è il titolo dell’inchiesta – che mostra come “le fortune di Trump dipendano profondamente da un’ampia schiera di finanziatori”.
Senza contare che è quanto mai difficile tracciare una mappa chiara di questo impero: il giornale newyorkese è riuscito a farlo con 30 delle proprietà di Trump negli Stati Uniti ma gran parte dell’impero finanziario rimane avvolto da una sorta di nebulosa. “Il successo del suo impero dipende dall’abilità di ottenere credito, di avere prestiti estesi alle sue società – ha dichiarato al Time Richard Painter, professore dell’università del Minnesota che tra il 2005 e il 2007 è stato un avvocato della Casa Bianca specializzato ad affrontare le questioni di conflitto di interessi- ma noi non conosciamo gran parte di questi accordi finanziari, qui o nel resto del mondo”. Durante il suo mandato alla Casa Bianca, Painter raccomandando all’ex Ceo di Goldman Saches, Henry Paulson, che George Bush nominò segretario al Tesoro di vendere le sue azioni della banca perché non sarebbe stato sufficiente metterle in un blind trust.
La situazione sarebbe ancora più eclatante con Trump: se, una volta eletto presidente, Trump dovesse ricorrere ad un blind trust sarebbe “come mettere un orologio d’oro in una scatola e fare finta che non sia più lì”. Ed il Times lancia infatti l’allarme riguardo all’enorme problema di conflitto di interessi che una presidenza Trump costituirebbe: “Come presidente, Trump avrebbe una sostanziale influenza sulla politica monetaria e fiscale, insieme al potere di fare nomine che avrebbero direttamente effetto sul suo impero finanziario – conclude il giornale – avrebbe anche influenza sulle questioni legislative che potrebbero avere un impatto significativo sul suo patrimonio, e contatti ufficiali con Paesi con i quali ha interessi d’affari”.