Cronaca

Vedova Abu Sayyaf ha aiutato la Cia nella caccia a Baghdadi. Il capo dell’Isis sarebbe in Iraq

Il leader del Gruppo dello Stato Islamico, Abu Bakr al-Baghdadi, ha registrato molti dei suoi messaggi di propaganda nella casa di Umm Sayyaf e di suo marito, Abu Sayyaf, ex capo della comunicazione dell’Isis, ucciso in un raid Usa nel 2015. A rivelarlo è stata la stessa donna, una delle più influenti all’interno dell’organizzazione jihadista, in un’intervista al Guardian, in cui ha confermato una serie di colloqui con i servizi d’intelligence statunitensi. Umm Sayyaf, 29 anni, si trova in prigione in Iraq ed è stata condannata alla pena capitale.

Nisrine Assad Ibrahim, meglio nota come Umm Sayyaf, avrebbe aiutato la Cia nella sua caccia al Califfo ancora in fuga, in una serie di colloqui avuti con gli 007 statunitensi dopo la sua cattura in Siria, quattro anni fa, secondo informazioni ottenute dal quotidiano britannico The Guardian. Conosciuta in Occidente per essere responsabile del reclutamento di donne nell’Isis e dell’organizzazione della schiavitù sessuale nel “califfato”, Umm Sayyaf, moglie di Abu Sayyaf – leader dell’Isis ucciso a maggio 2015 durante un raid delle forze armate americane – avrebbe aiutato l’intelligence Usa e le forze curde a tracciare i movimenti, i nascondigli e le reti di copertura di al Baghdadi, secondo il Guardian.

Nel febbraio 2016, la donna ha identificato una casa a Mosul in cui il califfo avrebbe alloggiato. L’edificio, secondo quanto si legge, non sarebbe stato colpito dalle forze Usa per timore di vittime civili in un quartiere densamente popolato. “Ho detto loro dove si trovava la casa. Sapevo che era lì perché era una delle case che gli erano state messe a disposizione e uno dei posti che amava di più”, ha detto la donna al Guardian. Il suo matrimonio con Abu Sayyaf e la sua discendenza da una famiglia da tempo integrata nell’Isis ha consentito ad Umm Sayyaf di essere più vicina ad al Baghdadi di qualsiasi altra donna nell’organizzazione jihadista. Essendo una delle figure femminili più importanti dell’organizzazione, a volte ha avuto accesso a riunioni e discussioni personali ed è stata presente in diverse occasioni quando al Baghdadi ha registrato messaggi di propaganda audio nella casa condivisa con suo marito.

“Era solito farlo nel nostro salotto di Taji (una città nel centro dell’Iraq, ndr)”, ha detto al quotidiano britannico. “Mio marito era allora il capo della comunicazione (dello Stato islamico) e al Baghdadi è venuto a trovarlo frequentemente”. Dopo essere stata catturata, Umm Sayyaf si è inizialmente rifiutata di collaborare, ma all’inizio del 2016 ha cominciato a rivelare alcuni segreti dell’organizzazione, indicando come Abu Bakr al Baghdadi si muove e quale sia la sua rete di copertura. Umm Sayyaf, secondo il giornale, ha trascorso molte ore a guardare mappe e fotografie a fianco degli americani. “Erano molto educati e indossavano abiti civili”, ha detto.

“Ho detto loro tutto quello che sapevo”. Un alto funzionario dell’intelligence curda, da parte sua, ha confermato al Guardian la collaborazione di Umm Sayyaf: “Ci ha fornito un’immagine molto chiara della struttura familiare di Abu Bakr al Baghdadi e delle persone che contano di più. Abbiamo imparato a conoscere, in particolare, le mogli delle persone che la circondano ed è stato molto utile. Ha identificato molte persone e le loro responsabilità. E ci ha dato un’idea dei veri sentimenti delle mogli dei leader” dell’organizzazione jihadista. Secondo la giovane donna, il califfo si troverebbe ora in Iraq, dove si sentirebbe più al sicuro.

“Non si è mai sentito bene in Siria, ha sempre voluto essere in Iraq. L’ultima volta che ho sentito parlare di lui, voleva andare a Qaim e Bukamal, ma è stato qualche tempo fa”, ha detto Umm Sayyaf. Nonostante la sua collaborazione, la donna è stata condannata a morte da un tribunale di Erbil, in Iraq. L’avvocato per i diritti umani Amal Clooney ha chiesto che Umm Sayyaf venga trasferita negli Stati Uniti per essere processata dalla giustizia Usa per i suoi crimini. Tra le schiave sessuali dell’organizzazione di cui è considerata responsabile figuravano anche l’americana Kayla Mueller – che sarebbe morta nel febbraio 2015 a Raqqa – e molte donne yazide. askanews

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