“Siamo partiti dalla storia di Carlo Capone, un ex pilota degli anni ’80 che poi si è perso con una vita sregolata – spiega Matteo Rovere -. Poi è tornato nel giro e ha effettivamente allenato una ragazza e ora è in una struttura psichiatrica in Piemonte. Con gli sceneggiatori (Filippo Gravino e Francesca Manieri, ndr) abbiamo riletto quella storia creando il personaggio di Loris che guida la sorella in un percorso di vittorie sportive e di ricongiungimento umano e di sintesi familiare”. Stefano Accorsi si è calato nel ruolo in maniera assoluta, perdendo peso e diventando quasi irriconoscibile col trucco. “E’ raro trovare un copione del livello di quello propostomi da Matteo Rovere e da Domenico Procacci (produttore con Fandango, ndr) – spiega l’attore – un copione in cui si mescola una struttura di genere con storie familiari e dinamiche di tutti i giorni. In quell’ambiente – aggiunge – ci sono famiglie che condividono un mondo, quello della velocità: la fame di velocità per loro è fame di vita, fame di emozioni. Per questo nel film tutto è vero, dalle corse a ogni curva che raccontiamo. Poi c’è l’aspetto del mio personaggio legato alla droga – spiega ancora Accorsi -. Loris è un sopravvissuto, uno che è ancora vivo a 40-45 anni dopo che si fa di eroina da tempo. Abbiamo affrontato la tossicodipendenza in maniera specifica, per quel determinato personaggio: è un pilota, abituato a gestire situazioni estreme, a correre a 300 all’ora, a camminare su un cornicione. Ma ha anche una grande fame di vita – conclude -. Per lui vale quello che è il detto di molti piloti: se hai tutto sotto controllo quando corri, vuol dire che stai andando piano”.