Nella storia della destra l’iconografia ha un significato fondamentale. Lo si intuisce anche dalla scelta grafica fatta dal nuovo partito che domani e domenica celebrerà il suo primo congresso e che per nome, accanto a Fratelli d’Italia, ha scelto la sigla di Alleanza Nazionale. E nel suo simbolo riporta in piccolo proprio quello del partito che prese le mosse nel 1995 e che, a sua volta, riportava nella parte inferiore il logo del Movimento Sociale Italiano. Con un effetto che sa tanto di matrioska russa.
Non si può fare a meno di notare come anche la scelta del luogo che ospiterà il congresso, Fiuggi, sia altamente simbolica. Fu nella stessa cittadina termale, infatti, che Gianfranco Fini patrocinò una delle svolte più importanti – e discusse – per la destra post fascista italiana: l’archiviazione del Movimento Sociale per dar vita a quel partito che, nelle intenzioni del leader, avrebbe dovuto definitivamente fare i conti con l’ingombrante passato per aprirsi a una nuova stagione in cui la destra, da forza antisistema, si sarebbe trasformata in tutti gli effetti in forza democratica e di governo.
Una ricostruzione di quei tormentati cinque giorni – da mercoledì 25 a domenica 29 gennaio 1995 – è offerta dal libro Trilogia della Celtica del giornalista Rai Nicola Rao, uscito nei giorni scorsi per la Sperling & Kupfer. L’ampio volume raccoglie i tre lavori precedenti di Rao ( La fiamma e la celtica , Il sangue e la celtica , Il piombo e la celtica ) dedicati alla storia del neofascismo italiano dal dopoguerra ad oggi. E riserva molto spazio alla carriera politica di Gianfranco Fini. Protagonista – nel bene e nel male – del processo che ha portato prima la destra al governo e poi a una diaspora cui con difficoltà, e anche grazie al tentativo di Fdi, si sta cercando di porre rimedio.
Momento centrale di quella fase fu il congresso di Fiuggi del ’95. Come ricorda Rao, a parlare per primo di una «Alleanza Nazionale» fu Pinuccio Tatarella, nel 1992, dalle colonne de Il Tempo , invocando un contenitore «da contrapporre alla nascente Alleanza Democratica in cui si concentrino tutte le forze moderate e di destra per fronteggiare il centrosinistra nell’Italia del bipolarismo».
Un’anticipazione di quella che sarà la parte più controversa delle «tesi di Fiuggi» la offre Gianfranco Fini già nel discorso che pronuncia alla Camera in occasione della fiducia al primo governo Berlusconi: «Non ho nessuna ragione per negare che l’antifascismo è stato il momento storicamente essenziale perché tornassero in Italia i valori della democrazia». Dietro la svolta ci sono soprattutto le forti pressioni di Berlusconi per una definitiva presa di distanza dall’ideologia originaria, che infine spingono Fini a convocare il congresso di Fiuggi per archiviare il Msi. Svolta alla quale i vecchi leader con un passato nella Rsi – Baghino, Erra, Rauti, Tremaglia e Franchi – si oppongono fortemente.
Nel discorso discorso tenuto in apertura di congresso, il segretario archivia «il secolo del fascismo e del comunismo, dell’antifascismo e dell’anticomunismo. Ne comincia un altro in cui ci deve guidare non l’ideologia ma l’interesse nazionale». E pronuncia una sola volta la parola camerati, quando ringrazia «gli impagabili camerati che hanno più di 70 anni per essere rimasti fedeli alle proprie convinzioni». Per motivi di spazio rimandiamo al volume di Rao chi volesse ripercorrere tutte le fasi di quell’assise. Basti qui ricordare che la tesi di Fini fu votata da quasi tutto il congresso. Solo 70 delegati su 1.500 si schierano con le «mozioni» di Buontempo e Rauti. Lo stesso Rauti, il giorno dopo, dà vita a un nuovo partito, il Movimento Sociale Fiamma Tricolore.
Ma che la ferita per l’abbandono della vecchia casa sia tutt’altro che rimarginata lo si scoprirà negli anni a venire. Nel gennaio del 2002, incalzato dall’inviato de Le Iene Enrico Lucci, Fini fa registrare un’altra abiura importante, quando si rimangia una frase del ’94 in cui sosteneva che «Mussolini è il più grande statista del Novecento». Le reazioni sono tenui, se si eccettua quella furente di Alessandra, nipote del Duce. Ben più profondo sarà lo strappo del novembre 2003, quando Fini si reca a Tel Aviv per visitare il museo dell’Olocausto e pronuncia l’ormai famosa frase sul «fascismo male assoluto». In realtà le parole sono estrapolate dal contesto, il segretario di An si riferiva esclusivamente alle leggi razziali e alla persecuzione degli ebrei. Ma non può certo prodursi in una smentita da Israele, con i rischi di un’ennesima strumentalizzazione. Stavolta, la rivolta nel partito è enorme, se ne fanno portavoce Francesco Storace e persino donna Assunta Almirante: «Sono molto delusa da Fini, ma mi sento anche un po’ responsabile perché gli ho dato credito, pensando che avesse seguito l’esempio di mio marito».
Il libro non dà molto rilievo allo scioglimento di An nel Popolo della Libertà, che pure costò sacrificio ed altre fuoriuscite dal partito. Ma dedica un’interessante appendice a un avvenimento recente, nel capitolo finale La resa dei conti . È il 5 novembre 2012 e a Roma si tengono i funerali di Pino Rauti. Fini, che dopo lo strappo con Berlusconi ha fondato il partito Futuro e Libertà, aveva disertato la camera ardente per ragioni di sicurezza. Ma per le esequie rompe gli indugi. Quel giorno sarà ricordato come la più grande contestazione a un politico mai avvenuta in un luogo sacro. Gli insulti, i lanci di oggetti, i tentativi di colpire il vecchio leader con gli ombrelli finanche all’interno della chiesa resteranno impressi nella memoria. La reazione dei presenti, che vedono nel presidente della Camera il principale responsabile della fine del neo e postfascismo italiano, bene raccontano lo smarrimento di un mondo. È anche per questo che oggi il congresso di Fdi-An a Fiuggi, diciannove anni dopo quello del 1995, rappresenta una tappa fondamentale per il popolo della destra italiana. E benché le intenzioni degli organizzatori (alcuni, come Alemanno e La Russa, c’erano allora e ci sono oggi) siano quelle di guardare al futuro, una parte consistente dei militanti sogna semplicemente di riavvolgere il nastro e di ripartire da allora. Prima che potere, faide personali, abiure ed errori distrussero l’eredità di Giorgio Almirante. (Il Tempo)