I vescovi cattolici degli Stati Uniti, riuniti a Baltimora subito dopo l’elezione di Donald Trump per la loro assemblea di autunno, hanno eletto i loro nuovi vertici. Francesco raccomanda di “abbattere muri e a costruire ponti”. Un cardinale statunitense, nel frattempo, ormai in pensione dall’incarico che ha ricoperto in Curia, critica Francesco sul tema della famiglia. L’episcopato Usa, formato nei lunghi anni del pontificato di Giovanni Paolo II e poi negli anni di Benedetto XVI, ha assunto posizioni spesso critiche nei confronti del presidente Barack Obama, prendendo di mira ad esempio la sua riforma sanitaria e le sue posizioni in materia di aborto o nozze gay. Una linea sconfessata, di fatto, da Jorge Mario Bergoglio, quando, incontrando i presuli statunitensi a Washington nel 2015 disse, in uno storico discorso, che i vescovi non devono usare un “linguaggio bellicoso”, e non si devono limitare soltanto a “proclami e annunci esterni”, perché bisogna “conquistare spazio nel cuore degli uomini” senza mai fare della croce “un vessillo di lotte mondare”.
Nuovo presidente della conferenza episcopale per i prossimi tre anni, al posto dell’uscente Joseph Kurtz di Louisville, Kentuky, è il cardinale texano Daniel DiNardo (foto), arcivescovo di Galveston-Houston. Strenuo difensore delle cause “pro life”, è stato tra i tredici cardinali che firmarono una lettera di protestat indirizata al Papa nel corso dell’ultimo sinodo sulla famiglia. La sua elezione è, per certi versi, scontata, poiché non rompe con la prassi invalsa nella conferenza episcopale Usa di eleggere presidente il vicepresidente, carica che DiNardo ha ricoperto sino a ieri. Meno scontata la scelta del vice-presidente, mons. Jose Gomez, conservatore, arcivescovo di Los Angeles, membro dell’Opus Dei, e vocale difensore dei cattolici “latinos”. “Negli ultimi giorni”, ha detto in spagnolo in una recente messa, dopo l’elezione del presidente che ha promesso l’espulsione degli ispanici irregolari dal territorio Usa, “molti dei nostri fratelli e sorelle, adulti e bambini, sono timorosi pensando che li deporteranno e li separeranno dalle loro famiglie”. Se la consuetudine continuerà anche in futuro, tra tre anni, quando Trump sarà ancora alla Casa Bianca, Gomez -che peraltro non è cardinale – diventerà presidente. Tra le altre nomine, i vesovi hanno eletto un cappellano militare, Timothy Broglio, alla testa della commissione episcopale Giustizia e pace. Nel corso della riunione di Baltimora, i vescovi degli Stati Uniti hanno inviato una lettera a Trump, esprimendo, per prima cosa, la “volontà di lavorare insieme” per la “tutela della vita” e la “promozione della dignità umana”. Nel testo si sottolinea poi che fa parte dell`identità dei cattolici il servizio e l’accoglienza alle persone in fuga dai conflitti e dalla violenza, per questo “continueremo a promuovere politiche per proteggere la dignità umana dei rifugiati e degli immigrati, per mantenere le famiglie unite, e allo stesso tempo per preservare l’onore e il rispetto delle leggi di questo Paese”.
Prima che parlasse il Papa, il nunzio apostolico negli Stati Uniti, l`arcivescovo Christophe Pierre, ha caldeggiato la Chiesa Usa a svolgere un “ruolo profetico”. In un video-messaggio inviato ieri a Baltimora, poi, il Papa – che in passato aveva candidato Trump, all’epoca candidato, sottolineando, di ritorno dal Messico, che “chi vuole costruire muri non è cristiano” – ha sottolineato che “durante tutta la sua storia, la Chiesa nel vostro paese ha accolto e integrato nuove ondate di immigrati. Nella ricca varietà delle loro lingue e tradizioni culturali, essi hanno forgiato il volto mutevole della Chiesa americana. In questo contesto, desidero elogiare il prossimo Quinto Encuentro Pastorale Nazionale Ispanico. La celebrazione di questo Quinto Encuentro – ha detto Francesco – inizierà nelle vostre diocesi nel gennaio prossimo e si concluderà con una celebrazione nazionale a settembre 2018. In continuità con quelli che lo hanno preceduto, l`Encuentro cerca di riconoscere e valorizzare i doni specifici che i cattolici ispanici hanno offerto e continuano ad offrire alla Chiesa nel vostro paese. Ma è più di questo. E’ parte di un processo più ampio di rinnovamento e di impegno missionario, al quale tutte le vostre Chiese locali sono chiamate. La nostra grande sfida – ha sottolineato Jorge Mario Bergoglio – è creare una cultura dell`incontro, che incoraggi gli individui e i gruppi a condividere la ricchezza delle loro tradizioni ed esperienze, ad abbattere muri e a costruire ponti. La Chiesa in America, come altrove, è chiamata ad ‘uscire’ dal suo ambiente sicuro e ad essere un fermento di comunione. Comunione tra noi, con gli altri cristiani e con tutti coloro che cercano un futuro di speranza”.
Segno dell’attenzione che il Papa assegna agli Stati Uniti, peraltro, domenica, tra i 17 nuovi cardinali che “creerà” con il suo terzo concistoro, vi sono ben tre statunitensi. Si tratta di due pastori sensibili alle questioni sociali, l’arcivescovo di Chicago Blaise Cupich e l’arcivescovo di Indianapolis, la scorsa settimana trasferito a Newkar, Joseph Tobin. Il terzo è il nuovo presidente del dicastero vaticano che si occupa di vita e famiglia, Kevin Farrell. Il quale, proprio in questi giorni, ha dovuto affrontare, prima ancora di assumere il suo nuovo incarico, a gennaio prossimo, la prima granda, un cardinale statunitense che è tornato a criticare il Papa sulla enciclica sulla famiglia Amoris laetitia. Si tratta del cardinale Raymond Leo Burke, ultraconservatore, ex arcivescovo di Saint Louis, nominato nel 2008 da Benedetto XVI prefetto del Supremo tribunale della Segnatura apostolica, poi spostato da Francesco, nel 2014, patrono del Sovrano Militare Ordine di Malta. Il porporato Usa criticò già Benedetto XVI quando, nel suo ultimo libro-intervista da Pontefice, aprì alla possibilità, eccezionale, di utilizzare il preservativo in presenza del virus dell’aids. Con Jorge Mario Bergoglio il proporato statunitense non ha lesinato critiche, denunciando quella che egli ritiene “confusione” dottrinale già in occasione del primo sinodo sulla famiglia del 2014. Nel corso del secondo sinodo, a ottobre del 2015, Burke era tra i 13 cardinali che scrissero una lettera di protesta al Papa. Un malumore che in Burke non è calato.
Tanto che, a otto mesi dalla pubblicazione della esortazione post-sinodale Amoris laetitia, che tra l’altro apre alla concessione, a certe condizioni, alla comunione ai divorziati risposati, Burke ha indirizzato al Papa una nuova lettera – questa volta insieme a tre dei precedenti 13 cardinali, tutti in pensione, i tedeschi Joachim Meisner e Walter Brandmueller e l’italiano Carlo Caffarra – per esporre cinque dubbi (“dubia”, in latino) in merito al testo papale. I quattro porporati scrivono di aver chiesto chiarimenti al Papa e denunciano che Francesco non ha inviato loro una risposta. Ora, riporta il National Catholic Register, Burke paventa un non meglio identificato “atto” che corregga il Papa: “Se non c’è risposta a queste questioni, direi che si tratterebbe di prendere un atto formale di correzione di errore serio”. Afferma. Ma il suo confratello cardinale, Kevin Farrell, aveva già spiegato, al momento della sua nomina ad agosto: “L`Esortazione del Santo Padre, Amoris Laetitia, sia così importante e così ben accolta dal mondo intero; ed essendo stato nominato a capo di quello che era il Pontificio Consiglio per la Famiglia, ovviamente sarà al primo posto della mia agenda”.