Via libera al decreto sui migranti: l’elenco dei Paesi sicuri diventa norma di legge

Via libera al decreto sui migranti: l’elenco dei Paesi sicuri diventa norma di legge
Carlo Nordio
21 ottobre 2024

Il Consiglio dei Ministri ha approvato un nuovo decreto legge sui migranti, destinato a modificare in modo significativo la gestione dei rimpatri. Il cuore del provvedimento riguarda l’elenco dei cosiddetti “Paesi sicuri”, ossia le nazioni considerate idonee per il rimpatrio dei migranti, che fino a oggi era stabilito e aggiornato annualmente attraverso un decreto interministeriale. Con il nuovo decreto, invece, questo elenco diventa parte integrante di una legge con forza di norma primaria, introducendo così un cambiamento sostanziale nella gestione dei migranti irregolari.

Il concetto di Paesi sicuri e le novità legislative

Finora, l’elenco dei Paesi sicuri veniva aggiornato annualmente con un decreto firmato dai ministri degli Esteri, dell’Interno e della Giustizia. Tuttavia, questo sistema ha incontrato notevoli difficoltà interpretative e applicative, in parte a causa delle varie sentenze dei tribunali italiani, che talvolta hanno disapplicato o messo in discussione la legittimità dell’elenco stesso. Il nuovo decreto si propone di risolvere queste problematiche rendendo tale lista una “norma primaria”, cioè una legge che non può essere ignorata dai giudici.

Come spiegato dal ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, “con il decreto di oggi diventa fonte primaria l’indicazione dell’elenco di 19 Paesi sicuri sugli originali 22: abbiamo tenuto conto dell’integrità territoriale ed escluso Camerun, Colombia e Nigeria”. Questi Paesi sono stati rimossi dall’elenco poiché, secondo la recente sentenza della Corte di giustizia dell’Unione Europea, presentano situazioni di insicurezza in specifiche aree territoriali, rendendoli non completamente idonei per il rimpatrio. Piantedosi ha sottolineato che il nuovo elenco fornisce ai giudici un parametro più chiaro, evitando così “un’ondivaga interpretazione” e consentendo di superare quelle “decisioni che non condividiamo e che abbiamo legittimamente impugnato”.

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Il decreto stabilisce anche che l’elenco sarà soggetto a una revisione e aggiornamento periodico, mantenendo un monitoraggio costante delle condizioni nei vari Paesi di origine dei migranti. Questo compito sarà svolto dal governo, in collaborazione con il Parlamento, come ha spiegato il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Alfredo Mantovano: “L’elenco dei Paesi sicuri è meditato, non apodittico. Sono estromessi, in ossequio alla sentenza della Corte di giustizia europea, Paesi che contengono aree territoriali non sicure”. Mantovano ha aggiunto che la decisione su quali Paesi considerare sicuri “compete in prima battuta al governo, nel confronto con il Parlamento”, e che “l’aggiornamento sarà annuale e vedrà il vaglio anche delle commissioni parlamentari”.

La sentenza della Corte UE e le critiche del ministro Nordio

Uno degli elementi centrali di questa riforma è il recepimento della sentenza della Corte di giustizia dell’Unione Europea, che ha fornito indicazioni su come gli Stati membri dovrebbero gestire il concetto di Paesi sicuri, alla luce delle condizioni di sicurezza interne di ciascuna nazione. Il Guardasigilli Carlo Nordio, durante una conferenza stampa a Palazzo Chigi, ha commentato duramente l’applicazione di questa sentenza da parte dei tribunali italiani: “Siamo arrivati a questo punto a seguito di una sentenza della Corte di giustizia europea che non è stata ben compresa: la sentenza è molto complessa e articolata e anche scritta in francese, probabilmente non è stata ben compresa o ben letta dai giudici”.

Nordio ha proseguito spiegando che la sentenza, oltre a ribadire che “è compito degli Stati individuare quali siano gli Stati sicuri”, pone condizioni chiare per i giudici nel caso in cui decidano di valutare in modo diverso la sicurezza di un Paese rispetto alla lista ufficiale. “Il giudice, nel momento in cui si pronuncia, deve dire in maniera esaustiva e completa quali siano le ragioni per cui quel determinato Paese non è ritenuto sicuro per quell’individuo”, ha spiegato Nordio, evidenziando che, nelle recenti motivazioni delle decisioni giudiziarie, questa chiarezza è spesso mancata.

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Un altro problema sollevato da Nordio riguarda l’incertezza sulla cittadinanza e l’identità dei migranti: “Questi soggetti sono di cittadinanza incerta e la loro provenienza è dichiarata da loro stessi, non hanno documenti e non c’è nessuna prova che arrivino da determinati Paesi”. Questa situazione, secondo Nordio, comporta che i migranti stessi possano influenzare la valutazione sulla sicurezza del Paese da cui dichiarano di provenire, rendendo più difficile per i giudici stabilire in modo oggettivo se il rimpatrio è sicuro o meno.

Obiettivi e costi del nuovo decreto

Il nuovo decreto mira a velocizzare i processi di rimpatrio e ridurre il numero di richieste di asilo percepite come “strumentali”, cioè utilizzate dai migranti per restare nel Paese più a lungo e sfuggire all’espulsione. Piantedosi ha espresso chiaramente questo obiettivo: “La normativa serve a dirimere un’annosa questione: serve a cercare un’accelerazione della procedura, per fare in modo che il ricorso alla richiesta di protezione non sia per la gran parte strumentalizzato per eludere il sistema delle espulsioni”.

Un altro punto cruciale riguarda i costi per il sistema di accoglienza, che, secondo Piantedosi, ammontano a circa 1,7 miliardi di euro l’anno. “Quanto ci costa distribuire i migranti tutti i giorni da Lampedusa a Pozzallo o Porto Empedocle? E quanto ci costa il sistema di accoglienza? Il Viminale spende ogni anno 1,7 miliardi di euro per dare assistenza a persone che per il 60-70% dei casi sono destinate a vedersi bocciata la domanda di asilo”, ha dichiarato il ministro, sottolineando l’urgenza di una riforma che possa rendere il sistema più efficiente e meno oneroso per lo Stato.

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Il confronto con la magistratura e le istituzioni europee

L’approvazione del decreto ha provocato una reazione da parte dell’ordine giudiziario. Il presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati, Giuseppe Santalucia, ha dichiarato che non si tratta di uno scontro istituzionale tra magistratura e governo: “Noi non siamo contro il governo, sarebbe assurdo pensare che l’ordine giudiziario, un’istituzione del Paese, sia contro un’istituzione del Paese quale è il potere politico”. Tuttavia, Santalucia ha difeso l’autonomia della magistratura, affermando che il regolamento europeo previsto per il 2026 renderà la materia più flessibile.

In sostanza, il nuovo decreto sui migranti rappresenta un tentativo deciso del governo di Meloni di rendere più rigida e chiara la gestione dei rimpatri, inserendo criteri di sicurezza dei Paesi di origine direttamente nella legge. Tuttavia, il provvedimento solleva questioni complesse sia dal punto di vista giuridico che da quello politico, in particolare nei rapporti tra Italia e le istituzioni europee.

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