“Su alcuni quotidiani del 6, 7 e 8 maggio sono stati pubblicati articoli secondo i quali una recente circolare del consiglio comporterebbe ‘l’azzeramento del pool antimafia di Palermo’. La notizia e’ destituita di ogni fondamento”. E’ quanto si legge in una nota della Settima Commissione del Consiglio Superiore della Magistratura. “La disciplina della composizione della direzione distrettuale antimafia e dell’assegnazione dei procedimenti aventi ad oggetto delitti di criminalita’ organizzata di tipo mafioso- prosegue la nota- e’ dettata prima di tutto dalla legge, che risale al 1991. E’ la legge che prevede che i procedimenti per i delitti di criminalita’ organizzata di tipo mafioso siano assegnati solo ai magistrati componenti della direzione antimafia, salvo casi eccezionali. E ancora e’ la legge, precisamente l’ordinamento giudiziario, che fissa un limite di permanenza nella direzione distrettuale antimafia, determinato dal Consiglio nel massimo consentito di dieci anni. Lo stesso termine e’ previsto, in base alla legge, per ogni altro gruppo specializzato sia in materia civile che penale, sia per i giudicanti che per i requirenti”.
“Per quanto riguarda l’assegnazione dei procedimenti in tema di mafia- spiega la VII commissione- le circolari del Consiglio, sin dal 1994, hanno sempre previsto, in conformita’ alla norma di legge, come eccezionale l’assegnazione a magistrati non facenti parte della direzione distrettuale antimafia e l’ultima risoluzione consiliare del 5 marzo 2014 si e’ limitata a specificare i criteri per determinare tali casi eccezionali, individuandoli nella esigenza di apporti professionali diversi da quelli propri dei magistrati della direzione distrettuale antimafia ovvero nella esigenza di perequazione dei carichi di lavoro”. “Per quanto riguarda il limite temporale di permanenza nella direzione distrettuale antimafia, la circolare vigente – va rimarcato, non modificata sul punto – prevede non solo una gradualita’ nell’uscita dei magistrati dalla direzione distrettuale, ma anche la possibilita’ che il magistrato in uscita possa concludere i procedimenti in precedenza assegnatigli. Tale disciplina vuole evitare pregiudizi alla continuita’ dell’azione investigativa e nel contempo i molteplici rischi legati alla concentrazione dei procedimenti della DDA in capo a pochi specialisti”, conclude la nota.