Se vince Brexit Londra avrà almeno due anni per uscire dall’Europa

Se vince Brexit Londra avrà almeno due anni per uscire dall’Europa
15 giugno 2016

Che cosa prevedono i Trattati Ue nel caso in cui gli elettori del regno Unito dovessero decidere, con il referendum del 23 giugno prossimo, di uscire dall’Unione? Il “diritto di recesso” unilaterale da parte di uno Stato membro è relativamente recente nel diritto Ue, visto che non era esplicitamente previsto nei precedenti Trattati comunitari ed è stato contemplato per la prima volta all’Art.50 del Trattato di Lisbona sull’Unione europea, entrato in vigore il primo dicembre 2009. “Ogni Stato membro – recita l’Art.50 – può decidere, conformemente alle proprie norme costituzionali, di recedere dall’Unione”. In questo caso, “notifica tale intenzione al Consiglio europeo” ovvero ai capi di Stato e di governo, che formulano degli “orientamenti” in base ai quali l’Unione “negozia e conclude” con lo Stato interessato “un accordo volto a definire le modalità del recesso, tenendo conto del quadro delle future relazioni con l’Unione”. L’accordo con il paese “secessionista” è negoziato secondo una procedura (articolo 218, paragrafo 3 del Trattato sul funzionamento dell’Ue) che prevede che la Commissione presenti delle raccomandazioni al Consiglio Ue, e che il Consiglio autorizzi l’avvio dei negoziati e designi il negoziatore o il capo della squadra negoziale dell’Unione. Il negoziato è poi concluso “a nome dell’Unione dal Consiglio, che delibera a maggioranza qualificata previa approvazione del Parlamento europeo”. Per maggioranza qualificata i questo caso specifico, come stabilisce sempre l’Art.50, “si intende almeno il 72 % dei membri del Consiglio rappresentanti gli Stati membri partecipanti, che totalizzino almeno il 65 % della popolazione di tali Stati”.

Si tratta di una maggioranza più forte di quella prescritta per le normali decisioni del Consiglio prese in base alle proposte della Commissione (55% degli Stati membri, rappresentanti almeno il 65% della popolazione dell’Ue). Il paragrafo 3 dell’Art.50 indica la tempistica dell’uscita paese “secessionista” dall’Unione. I Trattati Ue, stabilisce, “cessano di essere applicabili allo Stato interessato a decorrere dalla data di entrata in vigore dell’accordo di recesso o, in mancanza di tale accordo, due anni dopo la notifica” del governo al Consiglio europeo della propria intenzione di far uso della clausola di recesso. In concreto, se il 24 giugno il governo di Londra dovesse constatare che la maggioranza degli elettori britannici vuole il Brexit, e comunicasse poi ufficialmente l’intenzione di recedere dall’Ue al Consiglio europeo previsto per il 28 e 29 giugno prossimi, il Regno Unito cesserebbe di essere uno Stato membro entro la fine di giugno del 2018, prima delle prossime elezioni europee (2019) e della fine del mandato dell’attuale Commissione europea.  A meno che, prosegue l’Art.50, “il Consiglio europeo, d’intesa con lo Stato membro interessato, decida all’unanimità di prorogare” il termine di due anni. In questo caso, se i Ventotto fossero tutti d’accordo, si potrebbe negoziare ancora a lungo (non ci sono altri limiti di tempo indicati), in particolare per quanto riguarda i punti più delicati per i quali sarebbero necessari nuovi accordi bilaterali per sostituire la “copertura” del diritto Ue, venutu a mancare.

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Tuttavia, almeno per quanto riguarda la cessazione della partecipazione del governo di Londra alle decisioni del Consiglio Ue e quella degli eurodeputati eletti nel Regno Unito alle votazioni del Parlamento europeo, ci si può aspettare degli accordi rapidi o anche solo delle soluzioni pragmatiche per evitare una situazione assurda in cui i britannici continuassero a operare come co-legislatori europei in materie che non li riguardano più. D’altra parte, già per quanto riguarda il negoziato con il paese “secessionista” il paragrafo 4 dell’Art.50 prevede che “il membro del Consiglio europeo e del Consiglio che rappresenta lo Stato membro che recede non partecipa né alle deliberazioni né alle decisioni del Consiglio europeo e del Consiglio che lo riguardano”. L’Art.50 si conclude lasciando una porta aperta, che però non garantisce alcuno statuto particolare o privilegiato all’ormai ex Stato membro, se dovesse decidere di tornare nell’Ue: “Se lo Stato che ha receduto dall’Unione chiede di aderirvi nuovamente, tale richiesta è oggetto della procedura di cui all’articolo 49” del Trattato sull’Unione, che prevede le modalità di adesione per i paesi terzi candidati, e in particolare la condizione che la domanda sia accettata all’unanimità degli Stati membri, “previa consultazione della Commissione e previa approvazione del Parlamento europeo, che si pronuncia a maggioranza dei membri che lo compongono”. In questo caso, viene concluso un accordo tra gli Stati membri e lo Stato richiedente che “è sottoposto a ratifica da tutti gli Stati contraenti conformemente alle loro rispettive norme costituzionali”.

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