Le tenebre della storia, ma anche l’umanesimo. Il progresso e la distruzione totale. Dalle lance di pietra alle protesi robotiche. È indubbiamente affascinante il percorso della mostra “Neo Preistoria – 100 verbi” che Andrea Branzi e Kenya Hara hanno curato per la XXI Triennale internazionale. Una esposizione che, come ci ha spiegato Branzi, vuole indagare il presente e le sue incertezze. “L’idea del termine preistoria – ha detto l’architetto e designer – una neo preistoria, si riferisce al fatto che il presente non riesce a descrivere uno scenario, un orizzonte complessivo, quindi in questo senso è una mostra non esattamente di design, né di tecnologie, ma sulle incertezze dell’uomo”. Incertezze che la penombra dell’allestimento espositivo contribuisce – volutamente – a rimarcare, ma che, perché tutto qui ha due aspetti, nell’associazione tra un singolo oggetto e un singolo verbo, marca anche una storia dei desideri umani, da quello di cucinare nell’Età della pietra, a quello di volare fino alla rigenerazione dei tessuti e degli organi umani. Da qui, dal confine sul quale ci troviamo che ci porta verso l’intelligenza artificiale, la sensazione di essere di nuovo preistorici. “È una mostra – ha concluso Branzi – che guarda alla storia dell’uomo, così incompleta e incerta, senza severità, anche con uno spirito diciamo pure ironico”. Un’ironia che però non nasconde il fatto che molti degli oggetti esposti sono oggetti di guerra, uno stato quasi hobbesiano che, sinistramente, ma indubitabilmente, procede di pari passo con le tappe dell’evoluzione umanistica. E nel XXI secolo non possiamo fingere di non vedere questo nostro lato oscuro.